L’identità contadina.

L’identità contadina.

…Tutto è cambiato nel giro di pochi decenni. Ancora alle soglie del ’900 il grano si tagliava con la falce e si batteva con la verzélla così come si faceva nel Medioevo o nell’antichità romana. Poi, come un cataclisma, il trionfo delle macchine ha sconvolto le nostre campagne. È diminuito drasticamente l’impiego di manodopera, si sono introdotte macchine specifiche per ogni tipo di attività, si sono razionalizzati i poderi per poter utilizzarle al meglio, sono state sostituite le colture tradizionali con altre industrialmente più redditizie, persino il volto della cascina è cambiato con la costruzione di silos per l’immagazzinamento dei prodotti e capannoni per il ricovero delle macchine. Ma insieme a tutto questo è cambiata anche la percezione che il contadino ha di se stesso. Ancora sessanta-settanta anni fa essere contadino era la condizione sociale più diffusa, oggi è una condizione marginale sia numericamente che socialmente. Basta guardare i dati Istat relativi agli addetti all’agricoltura nel nostro paese: 5%. Se si pensa che nel 1951 erano il 42%, si ha l’esatta dimensione dell’esodo biblico determinato dalla meccanizzazione delle campagne e dal concomitante sviluppo industriale del cosiddetto “boom” economico degli anni ’60. Continue reading L’identità contadina.

Disurbamento e deruralizzazione

Nel secondo dopoguerra i nostri paesi subirono un esodo massiccio di popolazione verso i centri urbani, in particolare Genova, alla ricerca di un lavoro garantito che qui era difficile trovare. Allora, oltre a quel bisogno contingente, sul fenomeno influì anche il fascino della città come luogo dove vivere, con tutte le sue comodità e opportunità: andare a vivere in città voleva dire emanciparsi, uscire da una sorta di condizione servile, come se fosse sempre valido il detto medioevale “L’aria della città rende liberi”. Del resto la maggior parte dei paesani che emigravano veniva da storie di mezzadria che era un istituto giuridico-economico ai limiti della condizione servile. Soltanto chi l’ha provata sa cosa vuol dire: dividere a metà il raccolto con il padrone del fondo, con il rischio di esseri buttati fuori dal podere in modo arbitrario (successe a mio nonno che, come ne “L’albero degli zoccoli” di Olmi, tagliò una pianta per fare appunto gli zoccoli a uno dei tanti figli; un vicino, anche lui mezzadro dello stesso proprietario, fece la spia, viva la solidarietà tra poveri!, e il padrone lo cacciò: dovette andarsene a San Martino, sc-tramigò a San Martin, la data fatidica per entrare e uscire dai poderi), è la condizione più umiliante che un uomo possa vivere… Continue reading Disurbamento e deruralizzazione