Se l’amore è poesia, va anche al di là del tempo

Ho scritto di maschi che non sanno amare, che trattano le donne come se fossero giocattoli di loro proprietà e ripetono incessantemente la parola “Mio!” come tanti bambini capricciosi. Ma, per fortuna, ne esistono anche altri per i quali l’amore non conosce età e lo cercano romanticamente per tutta la vita. Come i protagonisti di un altro breve racconto inedito che vi propongo, La cinquecento, sempre scritto per il reading musicale su Tenco (“Un giorno dopo l’altro” Luigi Tenco, un ragazzo di collina, in coppia con Roberto Paravagna al canto e alla chitarra) di cui vi ho già parlato. In quello spettacolo era abbinato alla canzone Se stasera sono qui.

La “cinquecento” imboccò i tornanti della salita di Bargagli cominciando a mugolare estenuante. Ogni volta che Gino scalava nelle curve facendo la doppietta sembrava che dovesse esalare l’ultimo respiro, ma poi il motore si riprendeva sferragliando rumorosamente. C’era la luna, e meno male che avevano scelto proprio quella sera ché la macchina era senza un faro e anche l’altro, visto gli anni che aveva, faceva luce come un lumino da camposanto. Del resto per fare una serenata ci voleva la luna, e che fosse anche bella piena, era così che stregava gli amanti. E Gino e Sergio andavano a Bargagli proprio per fare una serenata.

Tutto era cominciato una settimana prima quando, nel loro vagare da pensionati da una festa di paese a un’altra, erano capitati proprio a Bargagli e, venuta l’ora di pranzo, erano entrati nel negozio di alimentari nella piazza del paese per farsi fare due panini e comprare da bere. Dietro il banco c’era una signora che avrà avuto sessant’anni, con i capelli biondo platino e un seno maestoso in bella evidenza. Era stata gentile con loro, che ci avevano scherzato e preso anche un po’ di confidenza, e alla fine Gino era andato a prendere la chitarra in macchina e le avevano cantato una canzone. Facevano sempre così quando trovavano gente disponibile, Gino pizzicava le corde con garbo e Sergio aveva una bella voce tenorile. E non se ne sarebbero più andati dal negozio, ché Sergio non riusciva a togliere gli occhi da addosso a quella donna. Quando poi tornarono alla macchina per rientrare a Genova, non la smetteva più di magnificarla.

Era stata una settimana febbrile, durante la quale Sergio aveva cercato in tutti i modi di avere notizie sulla signora. Finalmente, tramite un amico di Chiavari, era venuto a sapere che era vedova e che, da quando era mancato il marito, mandava avanti il negozio da sola. La notizia lo infiammò a tal punto che non riusciva più a pensare ad altro. Si precipitò da Gino e, ancora prima di spiegargli che cosa aveva saputo, gli aveva detto: – Gino, anémmu a fa’ ’na se’enadda a quèla dónna. Gino non fece una piega, capì che cosa era successo all’amico: si era innamorato come un ragazzino. E va bene che non  era più un ragazzino, aveva 78 anni, ma che cosa doveva dirgli lui che ne aveva 82 e che pochi anni prima si era sposato con una donna  incontrata sul pianerottolo del suo palazzo scampata anche lei all’esplosione di gas che l’aveva distrutto?

– Cóse tè dixi, ghè fémmu Se stasera sono qui o Il cielo in una stanza? – disse Sergio tutto agitato. Gino, scalò di marcia, riprese velocità, poi rispose: – Pè mi u l’è mégiu Tenco, u l’è ciü   sentimentale -. – Fosscia ti ghè raxùn, u l’è ciü intimu, ciü patìu. E pöa u mè sa ch’u ghè piaxe de ciü, gó quésc-ta sensasiùn.

Arrivarono sulla piazza del paese che suonavano i rintocchi della mezzanotte. Non c’era in giro anima viva. Gino posteggiò, poi, presa la chitarra, si sistemarono su una panchina proprio dirimpetto al negozio. Un attimo per accordare lo strumento, poi, a un cenno dell’amico, Sergio intonò la canzone: – Se stasera sono qui / è perché ti voglio bene / è perché mi sono innamorato di te… . Una luce si accese alla porta finestra del poggiolo che sovrastava il negozio e si vide la sagoma di una persona andare avanti e indietro. Sergio allora alzò il tono, cercando di metterci tutto il sentimento. La sagoma si avvicinò alla finestra, scostò le tende e per un istante Sergio vide il suo viso, il suo seno, e la voce gli s’incrinò di malinconia. Gino lo riprese pizzicando più forte la chitarra, durante l’esecuzione non ammetteva debolezze. Intanto si erano accese delle luci anche nelle case vicine e si sentivano cigolare le persiane. Ma Sergio aveva ripreso sicurezza e la sua voce si diffondeva appassionata in tutta la piazza. – Staséia ti paéivi davéi Tenco – gli aveva detto poi Gino.

L’auto dei carabinieri arrivò silenziosa con il lampeggiante acceso. I militi attesero che Sergio finisse di sussurrare le ultime parole e che Gino chiudesse con un arpeggio elegante. Poi scese il maresciallo e si avvicinò serio. – E che facciamo qui, il festivàl? – disse guardando un po’ uno e un po’ l’altro. E aggiunse: – Neanche foste due ragazzini. Mettersi a suonare nel cuore della notte… ma siamo matti! -. Sergio tentò di replicare: – Ma era una serenata… -. Il maresciallo lo guardò di traverso: – Ve la do io la serenata… importunare una signora. Dovreste vergognarvi! -. Gino si sentì punto nel vivo: – Io non mi vergogno di fare una serenata a una bella donna -. – Ah, sì? – disse il maresciallo – Benissimo. Allora venite con me che andiamo in caserma -. Mentre salivano sull’auto di servizio Sergio sostiene che la signora lo guardava sospirando dalla finestra e forse si asciugava anche una lacrima.

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