Gianni Repetto
“Il verificatore di bellezza”
Come fu capovolta un giorno l’Italia degli scempi
Impressioni Grafiche, Acqui Terme 2025
“Quando il messo comunale si presentò a casa sua dicendogli che doveva andare urgentemente in Comune, Angelo, di fronte alla vaghezza delle parole dell’uomo, mollò gli attrezzi nell’orto e senza neanche cambiarsi andò giù a vedere. Strana, si disse, tutta questa urgenza, avrò forse dimenticato di pagare qualcosa. Ormai le dimenticanze erano il suo cruccio, per rimediarvi aveva dovuto ripristinare una pratica che adottava da ragazzo per ricordarsi le cose: faceva un nodo nel fazzoletto e, sebbene ci volesse poi lo stesso un po’ di tempo per farsi tornare in mente a proposito di cosa l’aveva fatto, prima o poi gli sovveniva e riusciva a rimediare all’incombenza.
Come entrò in Comune gli venne incontro l’impiegato dell’anagrafe che senza neanche salutarlo gli disse che il sindaco lo stava aspettando. Belin, ma son vestito da lavoro, lui gli disse, e l’altro gli fece segno che non contava niente, che andasse. Bussò, gli aprirono da dentro. Vieni, Angelo, gli disse il sindaco andandogli incontro, ti stavamo aspettando. Seduti di fronte alla scrivania del suo ufficio c’erano due uomini in camicia e cravatta, vestiti con lo stesso abito blu. Vieni, gli ripeté il sindaco, siediti lì.
Angelo era titubante, si vergognava di essersi presentato in quel modo. Del resto come poteva mai pensare che il sindaco in persona gli volesse parlare e per di più alla presenza di due signori così… Lui aveva pensato a una pratica d’ufficio, magari urgente, ma che avrebbe sbrigato con gli impiegati che mica si formalizzavano se uno si presentava in abiti da lavoro.
Si sedette, la poltrona soffiò come un palloncino che si sgonfiasse… Ti presento il signor Donati e il signor Turini, sono due funzionari della Prefettura. I due gli porsero la mano. Prefettura? Ma allora la cosa doveva essere grave, cosa aveva ben combinato perché si fossero scomodati due funzionari della Prefettura… Devi andare con loro in Prefettura ad Alessandria, sono venuti apposta per te… Angelo guardò incredulo il sindaco, poi i due signori vestiti di blu e, al colmo dello sbalordimento, disse… Ma perché devo andare in Prefettura?… Non lo so, Angelo, non l’hanno detto neanche a me. So soltanto che devi andarci… Ma io… tentò di dire Angelo. Intervenne uno dei due… Ci hanno detto di venirla a prendere al più presto, ordine esplicito del Prefetto. Non possiamo dirle altro… Angelo si sentì sprofondare… Ma… devo andare a casa a cambiarmi, mica posso presentarmi così… Non c’è tempo, gli disse l’uomo in blu, abbiamo i minuti contati… Angelo guardò i due, poi il sindaco… Posso almeno telefonare a mia moglie?… Lo faccia, ma presto, dobbiamo andare… Prese la cornetta con mano tremante, fece il numero, il telefono squillò più volte… Speriamo non sia alla bottega… poi sua moglie rispose… Devo andare urgentemente in Alessandria, poi ti spiego… In Alessandria? A quest’ora?… Sì, in Alessandria. È una storia lunga… Ma cosa stai dicendo? Che storia lunga?… L’uomo in blu gli fece segno di tagliare… Devo andare. Ti chiamo dopo… Ma Angelo… Mise giù la cornetta.
I due funzionari strinsero la mano al sindaco, Angelo lo guardò come per chiedergli aiuto, lui allargò le braccia con un’espressione di impotenza.
L’auto blu partì dal piazzale del Comune facendo slittare le gomme. Poi attaccarono la sirena e da quel momento iniziò il viaggio in macchina più veloce che Angelo avesse mai fatto. Ogni tanto gli occhi gli andavano alla lancetta del contachilometri e ciò che vedeva lo faceva rabbrividire. Centoventi, centotrenta, centoquaranta, decelerazione, c’era una macchina lenta, ripresa fino a centocinquanta, frenata a uno stop e senza fermarsi di nuovo centoventi, centotrenta, centoquaranta, centocinquanta, la strada diventava piccola, sempre più piccola, la campagna fuggiva indietro, i paesi sparivano… neanche in città si arrestò quella folle corsa, con quella sirena che continuava a mugolare lancinante…
Entrarono nel cortile della Prefettura, subito due agenti si avvicinarono alla macchina per accoglierne i passeggeri. I due funzionari con Angelo in mezzo salirono gagliardi le scale degli uffici… Ci attende il Prefetto… dissero alle guardie al piano, una di esse li scortò fino alla porta. Si sentiva vociare. Entrarono. C’erano parecchie persone nella stanza, si zittirono immediatamente… Venga avanti, signor Bisio… gli disse quello che pareva il Prefetto. Gli altri fecero ala al suo passaggio. No, non è possibile, si ripeteva Angelo, di sicuro sto sognando tutto quanto. Si sedette davanti al Prefetto…Capisco il suo stato d’animo… gli disse l’uomo… ma qui si tratta di cose importanti, di livello nazionale. Non possiamo perdere tempo… Cose importanti di livello nazionale? E che c’entrava lui, Angelo Bisio, con tutto questo… L’elicottero è già pronto, l’accompagneranno i miei due funzionari… Angelo a questo punto si alzò in piedi di scatto e stava per mettersi a gridare, che la smettessero con tutta quella farsa, gli aveva forse dato di volta il cervello? Ma non ebbe neanche il tempo di fiatare che i suoi due angeli (ironia della sorte!) custodi lo afferrarono e lo trascinarono via con loro. Sempre educatamente, ma con sollecitudine, lavoravano bene quei due.
L’AW109 della Polizia di Stato era già pronto nel cortile delle Prefettura, le pale spazzavano l’aria in attesa dei passeggeri… Ma… dove mi portate?… urlò Angelo per farsi sentire in tutto quel frastuono. Uno degli uomini vestiti di blu lo strinse forte in un braccio e gli disse di stare tranquillo… Tranquillo? Ma questo è un sequestro vero e proprio, io voglio… non riuscì neppure a finire la frase che già era a bordo e l’elicottero oscillando da una parte e dall’altra si librò alto nell’aria.
Angelo stava brasato sul seggiolino del passeggero, rigido e teso come la corda di un violino. Del resto era la prima volta che saliva su un elicottero e nemmeno era mai stato su un aereo, l’idea di volare l’aveva sempre terrorizzato. Non disse una parola per tutto il viaggio, con la testa sospesa tra ciò che gli stava succedendo e la visione di un pezzo d’Italia dall’alto che per forza di cose monopolizzava il suo sguardo. Non erano neanche passate due ore che già l’elicottero scendeva nel centro della capitale.
Atterrò nel cortile interno del Ministero degli Interni. C’erano diversi agenti in tenuta antisommossa ad attenderlo. Come Angelo scese dal velivolo i due funzionari vestiti di blu lo consegnarono ad altri vestiti di grigio che lo afferrarono saldamente e quasi sorreggendolo da terra lo portarono velocemente dentro il palazzo del Ministero. Angelo ormai aveva perso ogni forza di reazione e si era lasciato andare completamente in mano loro. Perché, se era un brutto sogno, prima o poi sarebbe finito altrimenti era assolutamente inutile opporre resistenza a quella sopraffazione.
Salirono al primo piano dell’edificio, percorsero un lungo corridoio – anch’esso presidiato da agenti in tenuta antisommossa – entrarono in un salone, lo attraversarono, entrarono in un altro, attraversarono anche quello, finché giunsero di fronte alla porta di un altro salone ancora e qui si fermarono. Dovettero attendere una manciata di secondi, ma bastò questo perché fossero circondati da agenti che impugnavano armi contro l’ignoto. Poi qualcuno spalancò la porta dall’interno e come se si fosse determinato un vuoto d’aria furono tutti risucchiati dentro.
Angelo fu fatto sedere anche lì davanti a una scrivania, in mezzo a un gruppo di persone che, munite di auricolari, stavano comunicando con qualcun altro. E lo facevano in toni accesi, come se fossero sovraeccitate, e usando lingue diverse, lui distinse chiaramente tedesco, inglese e francese, ma se ne sentivano anche altre. Poi, all’improvviso, tutti si zittirono guardando verso una porta. Preceduti da alcuni messi, entrarono nel salone il Ministro dell’Interno in persona – Angelo l’aveva già visto in televisione – e un cardinale, con la papalina rossa in testa e la fascia alla vita dello stesso colore che spiccava sulla veste nera…”
Da questo punto in poi iniziano per il protagonista, Angelo Bisio, una di serie di avventure che – in qualità di “verificatore di bellezza” per conto dello Stato italiano, ma con investitura divina – lo porteranno ad affrontare ecomostri e situazioni di degrado ambientale, abusi edilizi e fabbriche della morte, e lui lo farà, una volta entrato nella parte, perseguendo con determinazione l’obiettivo di ripristinare ovunque la bellezza che questo nostro sciagurato paese – di cui pure madre natura l’ha dotato ampiamente – sta sistematicamente distruggendo. Vivrà così, sull’onda di una strana ebbrezza autoironica ai limiti dell’incoscienza, situazioni scabrose che ne metteranno anche a rischio la vita, sempre assistito comunque da quella suprema autorità divina che ne ha imposto l’investitura. Percorrerà tutta quanta la penisola e, oltre ad abbattere tutto ciò che non ha rispettato le regole edilizie e urbanistiche, abbatterà anche tutte le strutture e gli edifici che, pur essendo in regola, non abbiano rispettato i crismi della bellezza. A questo punto nasce spontanea una domanda: ma quali sono i crismi della bellezza? È possibile stabilire dei canoni universali di bellezza oppure il bello è ciò che piace come sostiene chi vorrebbe plasmare il mondo a sua immagine e somiglianza? Ecco come risponde Angelo agli amministratori locali dei paesi del lago di Garda: “Non sono qui per mortificare il vostro spirito di amministratori… la mia non è una prevaricazione nonostante i poteri di cui sono stato investito… perché, al di là della volontà superiore che ha richiesto tutto questo, io sono qui per farvi ripensare al vostro ruolo di uomini sia pubblici che privati… per risvegliare in voi il senso della bellezza che tutti abbiamo naturalmente, ma che spesso dimentichiamo quando ci facciamo prendere dall’idea del possesso… è questo il morbo che ci tende spesso l’agguato… il possesso, come forma di appagamento del nostro desiderio inconscio di essere Dio o comunque artefici del nostro destino… ma Dio non possiede, emana soltanto… ed emana solo bellezza… e il nostro destino rischia di essere tragico se non ci conformiamo alla bellezza… che non è una categoria soggettiva, ma una proprietà delle cose così come sono state create o si sono evolute… è la legge naturale che produce bellezza… contraddirla vuol dire perderla in una spirale sempre più avvolgente… perché quanto più avremo possesso, tanto più perderemo bellezza… e questo non vuol dire allora rinunciare alla vita materiale che è un’inevitabile modifica dell’esistente… ma vuol dire approcciarsi con delicatezza alla natura e agli ambienti… ferire il meno possibile questa nostra amata Terra… solo così si guadagna veramente… solo così si costruisce un’economia che rende ragione all’etimologia di questa parola… e che produce ricchezza… la vera ricchezza, la perfetta integrazione tra anima e corpo… o preferite continuare a guadagnare con un lago inquinato e delle coste ormai solo cemento?…”.
Ma la stessa critica Angelo rivolge anche al concetto di potere, proprio là, a Milano, dove è concentrato il potere economico-finanziario del nostro paese: “Ma ciò che suscitò le reazioni più forti da parte del ceto politico lombardo fu la proposta di Angelo di abbattere il Pirellone, il palazzo in cui aveva sede il Consiglio Regionale della Lombardia, e il Palazzo Lombardia, sede del Governatore, della Giunta regionale e delle direzioni generali dei vari assessorati. Erano i due grattacieli in cui era stato concentrato il potere regionale per ragioni di comodità e di risparmio (pareva che in questo modo si risparmiassero 25 milioni l’anno…) sostenevano i politici, erano i due grattacieli che l’imprenditoria edile d’avanguardia aveva rifilato alla Regione perché nessun altro li voleva, sostenevano molti milanesi. Fatto sta che lì dentro era concentrato tutto il potere della Regione economicamente più forte d’Italia e quella locazione voleva in qualche modo essere un monito per i milanesi e i lombardi, ma anche per tutti gli italiani. Perché era l’espressione di un’idea ben precisa del potere, che doveva essere verticale e verticistico come i palazzi in cui alloggiava. Nessuna orizzontalità della sua presenza era prevista, quella propria di un potere che vuole condividere e non imporre, ma tutto era imperniato nell’oggettiva verticalità labirintica di quegli edifici che metteva in soggezione il cittadino comune per il quale era più facile perdersi lì dentro che ricevere soddisfazione.
Per queste ragioni sia estetiche che sociali Angelo, davanti a tutto il Consiglio Regionale Lombardo riunito nella sala della Biblioteca Regionale, pose come irrinunciabile la questione dell’abbattimento dei due colossi insistendo sull’orizzontalità come espressione genuina della democrazia e della possibilità di partecipazione… Com’è possibile che i cittadini amino e s’identifichino nel potere regionale quand’esso è così arrampicato in cielo… basta uno sguardo per scoraggiarli… e poi, se invece affrontano coraggiosamente il confronto, lo sconforto diventa motivato quando si trovano di fronte il muro della burocrazia degli uffici e del personalismo degli eletti… Qualcuno cominciò a mormorare… perché, per la maggior parte dei consiglieri, sedere in uno di questi scranni è un privilegio da difendere con i denti per poter continuare a tessere la propria tela di ragno… Ora il mormorio si trasformò in schiamazzi… ma così come lo è per i vari direttori, funzionari e impiegati degli uffici che sanno di appartenere a una casta privilegiata che non dovrà mai temere per il suo futuro… governino gli uni o gli altri lo stipendio continuerà a correre e ad aumentare… lavorino bene o lo facciano meno bene… chi avrà mai il coraggio di vedere la pagliuzza nell’occhio dell’altro sapendo magari di averci una trave nel proprio?…”.
Ma se è inflessibile nei confronti dei comportamenti poco virtuosi di molti degli italiani, amministratori pubblici o semplici cittadini, Angelo si commuove invece e non riesce a trattenere lo stupore ogni volta che incontra la bellezza superstite di questo nostro paese, come ad esempio a Venezia: “Imboccarono poi il Ponte della Libertà e man mano che si avvicinavano al Tronchetto Angelo allungava il collo per vedere ed era una continua esclamazione. Quando poi raggiunsero il molo, scese di slancio dalla macchina e dopo essersi mosso avanti e indietro impaziente disse al caposcorta… Comunichi a tutti che sono liberi fino a stasera… e faccia arrivare l’elicottero per me.
Vide, dunque, dapprima la città dall’alto e poi scese a terra e la girò tutta quanta a piedi o in vaporetto. E sia in volo che a piedi per le calli o in barca nei canali continuava a brontolare, a ragionare, a maledire… Qui non c’è niente fuori posto, tutto è stato incastonato a pennello… qui nessuno ha mai pensato di costruire qualcosa di brutto, al di fuori del contesto… ma perché non abbiamo preso esempio da questa storia, che è quella che ci fa apprezzare nel mondo e sostiene la nostra economia… qui guadagnavano lo stesso i costruttori, ma avevano rispetto per la loro città e il senso dell’armonia… ma poi, se ci avessero provato a fare delle porcate, interveniva il Gran Consiglio e il popolo stesso… che era povero anche qui come ovunque, ma ci teneva alla bellezza della sua città, ne era orgoglioso… eppure non abitava certamente nei palazzi più belli, ma nonostante la povertà aveva il senso… come posso dire… dell’essere più che dell’avere… capiva che la bellezza era un dono divino a cui non si poteva rinunciare, qualsiasi fosse il prezzo… ma sì, è la smania dell’avere che ha compromesso tutto, che ha stravolto i valori e imbruttito il mondo… forse il denaro è davvero un dono del diavolo come sosteneva la Chiesa nel Medioevo… Quella città, invece, era proprio come l’aveva definita Goethe quando la sera del 28 settembre 1786 l’aveva vista per la prima volta… “Tutto ciò che mi circonda è pieno di nobiltà, è l’opera grandiosa e veneranda di forze umane riunite, è un monumento maestoso non di un solo principe, ma di tutto un popolo”.
Ma la stessa emozione Angelo la prova anche a Comacchio: “Salirono sulle due imbarcazioni con un po’ di apprensione – il caposcorta disse che non sapeva nuotare – ma il sindaco li rassicurò dicendo che l’altezza media dell’acqua non superava il metro. Poi iniziò il suo racconto… La gente qui pescava immersa nell’acqua fino alla vita, con le reti, con le fiocine o con le lenze, quelle con tanti ami. Ma lo faceva di frodo, di notte, in quanto le valli erano una riserva ittica dello Stato che ne appaltava lo sfruttamento a una società privata… Lontano, dietro una linea di alberi che sfumava all’orizzonte, spuntava, anch’esso liquido e tremulo, il cerchio del sole… ed era una lotta continua con i guardiani che di giorno vigilavano sugli stagni dall’alto di apposite torrette, mentre di notte perlustravano le valli a bordo di queste barche e inseguivano i pescatori di frodo… Un airone si era alzato pigramente in volo e ora planava tra le canne dell’arenile…ed erano liti continue, che avevano degli strascichi anche nella vita sociale della comunità… famiglie che non si parlavano, regolamenti di conti a colpi di coltello, screzi anche tra padri e figli che militavano su sponde opposte… Angelo era affascinato da quel racconto, che gli evocava un mondo di fatiche improbe, di nottate passate all’addiaccio, ma anche di libertà, di coraggio e di insubordinazione nei confronti dei padroni, fossero della terra o dell’acqua. Un mondo di saperi perfezionati nei minimi particolari, fatto di gesti secolari continuamente aggiornati, ma posseduti e tramandati di generazione in generazione. E che, come tutti i saperi millenari, rischiavano di sparire per lasciare il campo a forme di sfruttamento delle acque e delle terre che non contemplavano alcun sapere da parte degli addetti – l’acquisizione lenta, ma costante di capacità sempre più raffinate – ma soltanto pochi semplici gesti meccanici: schiacciare bottoni, alzare o abbassare leve, cliccare sulla tastiera di un computer un invio per attivare il processo; a realizzarlo, poi, ci pensava lei, la macchina da sola…”.
E così anche in Toscana: “Lungo la strada che lo portava in Umbria, Angelo fece fermare la macchina su un colle dirimpetto a Montepulciano, convinto di aver trovato ciò che stava cercando. Il paese si stagliava all’orizzonte nella luce calda della sera… Cazzo, non c’è niente fuori posto… un profilo, uno solo che stoni… l’omogeneità dei colori… eppure ci sono alcune costruzioni nuove al di fuori del borgo…s’intuisce che ci sono, ma sono state calate nell’ambiente alla perfezione… attutite contro il versante e immerse nel verde… e ciò che ne trapela è omogeneo con tutto il resto… ecco come dovrebbe essere tutta l’Italia!”.
O nel Lazio: “Angelo trascorse quei tre giorni nell’abbazia di Montecassino, che da anni si era proposto di visitare senza però mai riuscirci. Ospite dell’abate emerito ordinario, si fece raccontare da lui le vicissitudini di quel convento, le varie distruzioni che aveva subito nella Storia, dalla prima da parte dei longobardi all’ultima durante la seconda guerra mondiale. E fu affascinato da quella vicenda tenace di rinascita che la contraddistingueva, con la riedificazione integrale degli edifici così come li aveva voluti San Benedetto. E se c’erano state delle variazioni stilistiche nelle varie ricostruzioni era ogni volta il segno dei tempi che restava impresso in quelle mura, senza però mai mutarne l’atmosfera e la primitiva intimità. Pertanto, chi ora la visitava provava la stessa sensazione di bellezza e di serenità che aveva colpito nei secoli altri viandanti che lì avevano trovato conforto materiale e spirituale. E gli parve di intravedere in questo suo destino travagliato, ma sempre sublime, un modello disatteso del nostro paese che aveva smarrito negli ultimi decenni la strada della memoria e della sua tenace conservazione. E immemore di questo suo passato era stato inghiottito dal consumismo e dalla sua colonizzazione umana e strutturale che aveva stravolto il tessuto paesaggistico e urbano del territorio nazionale. Erano rimaste poche le “isole” indenni da questo processo di degrado e Angelo temeva che presto i denti famelici del consumo avrebbero espugnato anche quegli ultimi fortini. Quello che lui stava facendo era probabilmente l’ultima possibilità umana per contrastare quella tendenza. Non si azzardava a dire “per impedirla”, ormai solo un miracolo avrebbe potuto invertire il degrado progressivo della Terra”.
Ecco, queste e tante altre storie troverete nella straordinaria e improbabile vicenda di Angelo Bisio e nascerà forte in voi il desiderio che un giorno la fantasia superi la realtà sostituendosi realisticamente ad essa e ci ridia tutta quella bellezza che negli ultimi settant’anni abbiamo scioccamente dilapidato.