Come diventai presidente degli Stati Uniti d’America

 

Avevo dimenticato il telefonino a casa e quando tornai vidi che avevo ricevuto nel frattempo una telefonata strana della quale non riuscivo a raccapezzarmi. Aveva il prefisso +1 degli Stati Uniti d’America, era la prima volta che mi succedeva. Lascia perdere, pensai, magari ora cominciano a rompere i coglioni con la pubblicità anche dall’America come già fanno da tanti paesi qui in Europa. Ma mentre facevo questa considerazione, mi arrivò un messaggio su Whatsapp: lo aprii e nell’icona vidi che c’era scritto Cornell University, Ithaca, N.Y. Ci rimasi di stucco. Poi lessi il breve messaggio allegato e il mio stupore aumentò. Sono Enzo Traverso, ho bisogno di parlarti. Chiamami. Enzo Traverso? Ma ci conoscevamo appena, me l’aveva fatto incontrare suo zio Mario quando ero ancora Presidente del Parco delle Capanne di Marcarolo. Uno storico, una testa fine, sapevo che insegnava in un’università americana, ma non sapevo in quale. All’epoca avevo poi letto due suoi libri, A ferro e fuoco. La guerra civile europea 1914 – 1945 e Rivoluzione 1789 – 1989: un’altra storia, che mi erano piaciuti moltissimo, sia come stile di scrittura, decisamente ormai anglosassone, sia per l’analisi che faceva dei temi proposti; ma non l’avevo più rivisto né avevo più avuto contatti. E ora lui all’improvviso mi chiedeva di chiamarlo, con un tono confidenziale che mai mi sarei immaginato. Ma come era possibile? Doveva esserci per forza un equivoco, forse mi stava scambiando per un altro. Perché io, al di là di condividere molte delle sue idee, non ci avevo mai avuto a che fare con lui.

Ci rimuginai a lungo e ogni volta che sembravo ormai convinto a chiamarlo mi ritraevo all’ultimo, temendo di sentirmi dire che era semplicemente un errore, uno scambio di persona. Ma se aveva il mio numero… quando mai gliel’avevo dato? Stavo arrovellandomi in questo modo quando lui telefonò di nuovo. Con il cuore in gola per l’emozione premetti il pulsante della chiamata e appena fui in linea mi sentii apostrofare: Gianni, mi riconosci? Io balbettai qualcosa, non so proprio cosa, del resto come potevo dirgli che non lo riconoscevo affatto. Ti sto chiamando per una questione delicata che c’è qui da noi e che tu devi aiutarmi a risolvere. Io aiutare lui, storico affermato, a risolvere una situazione delicata negli Stati Uniti d’America? Sai la storia di Biden e delle sue possibili dimissioni? Bene, finalmente si è deciso, si dimetterà a giorni. Questa era davvero una bella notizia. Ma io che c’entravo? Come puoi immaginare, si è scatenata subito una lotta al coltello per la sua sostituzione e io sono stato inserito in una commissione che dovrà decidere chi sarà il futuro sfidante di Trump. Ero contento che avessero inserito uno serio e preparato come Enzo in quella commissione, ma, mi ripetevo, io cosa c’entravo… Purtroppo non abbiamo un profilo giusto che possa consentirci di recuperare di qui alle elezioni il gap di consensi che c’è attualmente tra noi e loro e, anzi, c’è il rischio di una sconfitta schiacciante che segni il destino dei democratici americani per parecchie legislature e la fine della democrazia in America. Sì, questo lo pensavo anch’io, ero convinto da tempo che il declino degli U.S.A. fosse ormai inarrestabile. E noi non possiamo permettere che questo avvenga, sarebbe la catastrofe… Fece una pausa, come se a quel pensiero l’avesse preso lo sconforto. Poi riprese… È per questo che ho bisogno del tuo aiuto… Ancora silenzio. Stavo per dirgli: ma Enzo che cosa posso ben fare io qui dall’Italia per aiutarti, non vedo proprio cosa, quando lui disse… Gianni, capisco che ti potrà sembrare tutto strano, come se fossi in un film di fantascienza, ma noi democratici americani abbiamo bisogno di te… Ma come posso aiutarvi io da qui, pacifista non violento, dissidente e libertario? È una vita che faccio le mie battaglie controcorrente, magari con un po’ più di visione rispetto agli altri, ma costretto spesso a subire le decisioni dei peggiori che in genere, che stiano da una parte o dall’altra, governano per i loro interessi anziché per il bene comune?.. È proprio il profilo di cui abbiamo bisogno…qualcuno che finalmente governi per il bene comune… Come, qualcuno che governi per il bene comune? Cosa vorresti dire?… Ci fu un lungo silenzio… Gianni, ti chiedo ufficialmente a nome della dirigenza del Partito Democratico degli Stati Uniti di accettare la candidatura a presidente dell’Unione… Queste parole rimbombarono a lungo nella stanza come se fossero state pronunciate al microfono in una grande sala. E man mano che mi rendevo conto del loro significato mi prendeva ora l’angoscia ora l’indignazione di essere l’oggetto di una presa per il culo apocalittica che addirittura mi giungeva da altre oceano. E istintivamente avrei mandato Enzo a quel paese, cosa ti è mai saltato in mente di farmi uno scherzo del genere, ma quelle parole continuavano a rimbombare nella stanza e io non riuscivo a togliermele dalla mente. Fu lui a tirarmi fuori dall’imbarazzo… Ho già prenotato il volo da Fiumicino, partirete domani alle 09.45… Domani? Ma io c’ho da sistemare le mie cose qui prima di partire, i miei figli, i miei nipoti… E poi, perché partirete?… Sentii Enzo schiarirsi la voce… Viene anche mio zio Mario con te, non potevo non dirglielo. Lo sai, lui ti stima molto… Mario?, pensai, un viaggio in aereo con Mario che mi racconterà per l’ennesima volta della cascata del Neirone e della Gavi di una volta. E poi, in aereo? Ma io non sono mai salito su un aereo, dissi, se vengo, vengo in nave… Si sentì un sospiro… Dai, non fare il bambino. Tu domani sera devi essere qui, non abbiamo tempo da perdere. Verrà a prendervi in macchina a Gavi Federico Rampini in persona, lui è entusiasta dell’idea… Federico Rampini, l’uomo delle bretelle permanenti e delle raffinate analisi sulla più grande (?) democrazia del mondo. L’uomo di cui spesso non condividevo le opinioni che era entusiasta dell’idea?… Restiamo d’accordo così, ti contatterà Federico per organizzare il viaggio. Non portare tanta roba, abbiamo le tue misure e abbiamo già preparato i vestiti adatti per la campagna elettorale. Ora ti devo lasciare, devo preparare la tua accoglienza. A domani allora… Tutututututu, neanche il tempo di rispondere. Ero frastornato e ogni tanto mi stropicciavo gli occhi e mi davo dei colpi sulla fronte come per cercare di svegliarmi da quello che non poteva che essere un sogno. Ma il telefono squillò di nuovo… Lo afferrai con una certa titubanza, anche questo era un numero sconosciuto, ma per lo meno era italiano. Pronto?… Gianniii, a sun i Mario, i barbé d’Govi. U t’à telefunò mè nêvu? À créddu che l’àgia avüu ’n’idea belissccima e mi a gö ditu ch’a sun d’acordiu ’ncu lé, chè ti ti pö ésse davèi a persunna giüscta per fò i presidente dl’America… e quande u m’ha ditu chè mi a saiö ’npó u tó cunsiglié ö acetò sübitu… Il telefono mi cadde dalle mani… Gianniii, ’sé chl’è sucêsu… ti m’sénti… a vuéivu ’ncu dite che Federico, so quel giurnalisc-ta ch’l’è sempre in televixùn, ch’u fa quelle analisi belissccime da pulittica americánn-a, che mi à l’ö za cunusciüu tanti âni fa quande sémmu ’ndè ’ncu Enzo a mangiò ai Pesenti, u gh’ea anche Steve… Anche stavolta cadde la linea, ma ora per mio deliberato proposito. Pazienza la presidenza degli Stati Uniti, ma andarci con Mario? E poi, mi avrebbe soltanto accompagnato approfittando dell’occasione per fare una visita al nipote oppure avrebbe avuto un altro ruolo? Nonostante un dubbio atroce mi afferrasse, cercavo di scacciarne l’idea. Ma più lo facevo e più mi ritornava ossessivo alla mente: che Enzo avesse immaginato un ruolo per Mario in quello che sarebbe stato il mio staff? Magari non dico da vicepresidente e neanche da Segretario di Stato, ma, chissà, da speaker del Parlamento? Sopraffatto da quell’idea insostenibile, mi lasciai andare sconsolato su una sedia.

Tutto avvenne così come era stato stabilito. Federico Rampini venne a prendermi a Lerma con la macchina e il suo autista, poi passammo da Gavi a prendere Mario, dopodiché con l’aria condizionata accesa a palla partimmo per Roma. Io, dopo i primi chilometri che furono un monologo di Mario rivolto a Rampini, mi addormentai profondamente. Mi risvegliai che eravamo già a Roma e Mario stava ancora parlando e l’argomento era lo stesso di quando eravamo partiti. E parlava sempre rivolto a Rampini, che però non rispondeva, anche lui aveva ceduto dopo i primi colpi. Ebbe tuttavia il fair play anglosassone di dire al suo risveglio… Mario, condivido tutto quello che ha detto… Ma mi dia del tu, gli rispose Mario, è stato un piacere parlare con lei.

C’imbarcammo sul volo Ita Airways delle 09.30 per New York e Federico ci disse che ci avrebbe raggiunto il giorno dopo per improrogabili impegni che aveva nel pomeriggio a Roma. E mentre lo diceva un sorriso beffardo gli affiorò sulle labbra, come se ci godesse un mondo ad avermi ripassato la palla. Quando salii la scaletta dell’aereo, non sapevo se mi tremavano più le gambe per quel primo viaggio lassù sospeso nel cielo o per il diluvio di parole che Mario mi avrebbe scaricato addosso per tutto il viaggio. Ricordo solo che mi raccontò per l’ennesima volta la storia del maestro Lavagnino e della sua casata… Aah, a sinóluga, l’è bravissscccima… e quella dei Della Casa Steve e Mario. Poi attaccò con il Gorzente e la narrazione raggiunse un tale livello epico che anche in aereo, nonostante la paura, mi addormentai profondamente.

Quando scendemmo all’aeroporto JFK di New York c’erano tre limousine nere ad aspettarci. E intorno un nugolo di poliziotti in tenuta antisommossa che sembrava davvero che stesse arrivando il presidente. Appena sbucammo in cima alla scaletta fummo afferrati da due coppie di agenti che sollevandoci letteralmente da terra ci trasportarono in un baleno verso una delle limousine da cui scese Enzo. Benvenuto, Gianni!, mi disse, e senza tanti convenevoli mi fece salire in macchina. La stessa sorte toccò a Mario, che comunque trovò il tempo di dire… Belin, Enzo, t’è gnüu ’n pó troppu mogru… ma, ti mángi?. C’erano già altre due persone dentro la macchina, che intanto si avviò silenziosa, ed Enzo ce le presentò. Questa signora la conoscete di sicuro, è da anni la bandiera dei democratici, l’avrete già vista in televisione… What do you say, Enzo… disse lei come per schermirsi… è la signora Nancy Pelosi, storica speaker della Camera dei rappresentanti. Mario fu il primo a farsi avanti e facendole un inchino le prese la mano e gliela baciò… Oh, wonderful, so italian… lei disse. Io gliela strinsi semplicemente. Poi fu la volta addirittura di Bernie Sanders e stavolta riuscii a precedere Mario… I’m very flattered to meet you, you are my american legendOh, even a legend… disse… no, I’m only a little man who has been fighting for years for all the weakest… Mario intervenne… Ma isc-tu u’n l’è quellu ch’u l’éa comunisc-ta…  mè chè ti fè a vinse ’ncu isc-tu che chì… Lo bloccai immediatamente… Mario, per piaxéi, a summa apenn-a rivôi, tôxe ’n pó… What strange language are they speaking?… chiese Nancy… It looks PortogueseIt is a dialect of our countries, from the southern Piedmont area… le rispose Enzo… It’s funny, really funny… disse lei ridacchiando.

Le tre limousine entrarono nel piazzale della Cornell University silenziose come erano partite. Scese gente anche dalle altre due, in pratica tutto il Gotha del ramo leftist del partito. C’erano Alexandria Ocasio-Cortez, Bill De Blasio, Elizabeth Warren, Howard Dean, Jesse Jackson, Tulsi Gabbard, Alan Grayson, Al Franken, Dianne Feinstein e Dennis Kucinich. Ci furono delle veloci presentazioni, poi tutti ci dirigemmo verso l’aula magna dell’ateneo… Allora, che ne dici? mi chiese Enzo. Io non sapevo cosa rispondere, perché era ancora incredulo di fronte a tutto quello che era successo. Mi aspettavo che da un momento all’altro tutto svanisse, come quando si fa un brutto sogno e per fortuna ci si sveglia prima che l’angoscia ci travolga… U végna anche Biden, a m’l’à ditu Nancy… mi sussurrò Mario in un orecchio.

E infatti, non erano neanche passati dieci minuti da quando eravamo entrati nell’aula magna della Cornell, che si udì sempre più vicino il rumore dei rotori di almeno due elicotteri e delle sirene spiegate di diverse auto della polizia in un crescendo che a un certo punto divenne addirittura assordante. Poi, quando man mano cominciò a diminuire, entrarono nella sala alcuni poliziotti con pistole e mitra spianati e dietro di loro il presidente Biden, sua moglie Jill e Kamala Harris, la vicepresidente, circondati da un nugolo di agenti federali in borghese. Ci alzammo immediatamente tutti in piedi – Mario appuntò le labbra e disse… Belin, ma l’è propriu Biden… u sc-mìa ancù pü vêgiu… –  e Nancy Pelosi andò loro incontro, strinse la mano a Bill e abbracciò Jill e Kamala. Poi li precedette al tavolo dove lo stavamo aspettando. Il Presidente strinse la mano a tutti quanti i delegati, dopodiché Nancy ce lo presentò. Io mi sentivo svenire per l’emozione, non è che avessi mai avuto particolari simpatie per lui, ma era pur sempre il Presidente degli Stati Uniti d’America, lo Stato più potente del mondo. Mario ebbe ancora il tempo di dire… l’è propriu vêgiu… senza che riuscissi a stopparlo, poi Nancy fece le presentazioni… Dear President, let me introduce you to Mr. Gianni Repetto… he is the man who we think can overturn the result of the next elections… Il presidente sorrise a trentadue denti, non so quanti di essi fossero i suoi, poi mi strinse la mano appoggiandovi anche l’altra, di modo che mi si avvicinò ulteriormente, quasi a sfiorarmi il viso… Oh, the philosopher, the great reformist… I know his curriculum well… and his books… disse scuotendo il capo con gesto di assenso. E io, nonostante fossi confuso, ai limiti quasi della vergogna, pensai immediatamente… Ma se non li leggono neanche i miei amici… poi ripresi il mio contegno… And this is Mister Repetto’s secretary, Mario Traverso, the uncle of Enzo, our great theorist… Mario quasi si genuflesse di fronte a Biden prima di stringergli la mano…   Oh, the great old man, the one who knows how to tell things… the world needs us and instead, often, puts us aside… Nancy socchiuse le labbra, come per parare il colpo. Era stata lei a convincere il presidente a fare quel passo e lui, forse, con quella frecciata voleva in qualche modo vendicarsi. Intanto Mario m’incalzava e mi sussurrava ripetutamente… Cos’ l’à ditu d’mi, cos’ l’à ditu… che infine gli dissi… Chi ti pòrli troppu!

Ci furono poi le presentazioni di Jill e di Kamala Harris – per Mario la prima l’è’n pó tróppu slavò e la seconda l’è ciü néigra d’quant’a m’credésse – dopodiché il Presidente e le sue donne se ne andarono, mentre noi rimanemmo in riunione perché i delegati volevano sentire dalla mia viva voce quali erano le mie idee per l’America.

L’inizio fu difficile, temevo che il mio inglese non mi bastasse. Ma man mano che sciorinavo le mie idee, la lingua mi si scioglieva magicamente. Perché sapevo di non conoscere molto bene l’inglese, ma mentre parlavo le parole mi venivano in bocca come se avessi dentro un google traduttore. Persino Enzo era stupito, era questo l’unico intoppo che lo preoccupava, ma più parlavo più si esaltava da come usassi costrutti e parole in modo perfettamente yankee… I think you can easly imagine my surprise to be here. When Enzo called me, I thought he was jocking with me, cause it couldn’t be real and serious what he was saying to me… then, after we talked about, I understood the real and justified reason of his request: USA needed a man out of the fight between the two traditional parties, a man which nobody could accuse to be a servant of the opposite factions and particulary of the lobbies who finance them… un borbottio cominciò a serpeggiare nella sala… So, after the first astonishment, quite fear for what Enzo was asking me, suddenly I felt a sort of sense of duty, a need that my worldwide democratic conscience musts absolutely satisfy… Here, I thought that I’ll come to USA to give back to your country what it had given to us with the great revolution which, with the french one, had changed the world… Qui feci una pausa, come per constatare che effetto avevano avuto le mie parole su di loro. Enzo mi guardò soddisfatto, più che mai convinto di non essersi sbagliato. Gli altri parevano ansiosi di sapere come avrei portato avanti questi miei propositi… At first, I think we must change the way of doing policy of your party… qualche brusio… we must start again from the bottom, from ordinary people… without him, we cannot hope to win the elections… we must get him involved, let him decide and ask him the financial support for the party… il brusio divenne sempre più un borbottio… we must give up the support of the lobbies if we want to regain the trust of the lower classes… e qui cominciarono discussioni animate tra i delegati presenti, alcuni entusiasti di ciò che stavo dicendo, altri che evocavano lo spettro del comunismo, che non aveva mai portato fortuna ai Dem. Eppure non avevo parlato di lotta di classe, ma semplicemente di riportare il demos al centro della vita politica… “We, the people” the founding fathers wrote at the beginning of USA Constitution… they wrote it for all the USA people… for everyone man or woman who lived then or would live in the future in the States… they didn’t write it only for the tycoons who think to decide who’ll be the next USA president… a questo punto Bernie Sanders scattò in piedi come una molla a disse… Oh, yeah! At last someone who tells it like it is… gli altri, gorgogliando sommessamente, tacquero tutti. Ripresi a parlare… Furthermore, I intend to propose some changes regarding the istitutional structure… immediatamente si risollevò il brontolio… I’ll start by the role of the president… s’intensificò… I think it’s necessary to limit his powers so that his actions never ignore Parliament, but take place in every situation in full agreement with it… crebbe, ma io continuai imperterrito… and this also with a regard to his historical prerogatives, that is, national security and foreign policy. In the first case, in fact, we can no longer run the risk of what happened on Capitol Hill wherethose who were supposed to guarantee the security of the institutions and elected parliamentarians allowed it to be trampled upon, or rather, fanned the flames for it to happen… il brontolio cessò e divenne plauso… In the second case I will ask that the rule that allows the president the so called “executive agreements”, with which he undertakes autonomous actions, including war actions, against foreign nations, be modified… ancora brontolio… no american citizen will ever have to think that his country’s foreign policy is the personal foreign policy of one man and his entourage… solo brusio… But if we want to save american democracy from the drift into which it is falling, we must absolutely modify another aspect of the istitutional structure of our country… era la prima volta che mi veniva spontaneo dire our anziché your the now consolidated practice of the “spoils system”, the bureaucratic elimination of government offices every time a president changes… ancora brontolio… And to prevent this practice from sooner or later turning into an authoritarian temptation, we must found and form a permanent state bureaucracy that becomes the guardian of democracy and of the spirit of the laws… brontolii contrastanti… in fact, it is not possible to guarantee correct institutional continuity if each new tenant of the White House eliminates the office staff and replaces them with others who will obey his personal will by changing everything that had been done previously, regardless of wether or not the decision others had made was good… il brontolio calò… As regards social policies, which must be our strong point, I will propose a labor reform that places all employees within a single large platform of the right to work that establishes a minimum wage by law, a defense of employment of work with permanent subsidies for those who lose it and for those who are looking for it but cannot find it… il brontolio risalì… and I will do the same thing for pensions, setting up a national fund that provides them for everyone, based on a mixed calculation system, half contributory and half salary… I will also take action on healthcare, making it completely free for the lowest incomes and ensuring identity assistance for rich and poor… A questo punto il brontolio divenne assordante e si trasformò in un botta e risposta accanito tra diversi punti di vista. Si sentivano soprattutto la voce squillante di Alexandria Ocasio-Cortez e quella cupa e un po’catarrosa di Bernie Sanders difendere e sostenere ciò che avevo appena detto e quelle più sussiegose e affettate di Nancy Pelosi e di Elisabeth Warren che ripetevano spesso… socialism is not good for the States… e ogni tanto quella del reverendo Jackson che cercava di conciliare le parti, finché risuonò nell’aula quella di Dianne Feinstein che si rivolse direttamente a me… But how do you plan to finance this great social project?… La domanda aleggiò a lungo nell’aria e tutti istantaneamente tacquero e guardarono ansiosi verso di me. Io esitai ad arte qualche istante, come per accrescere ancora di più la loro attesa. Poi dissi…  Simple. It will be the tycoons and the great corporations of this country who will finance the project. After all, they owe their fortunes to USA economy and policy and I think it is right that they give it back what needs to make every american citizen happy, as our Constitution requires. And what we will take from them to make the rest of the country happy it will be a small drop compared to their immense assets… E qui intervenne Nancy… Dear Jack… era la prima volta che uno di loro mi apostrofava così amichevolmente… I think you know that talking about taxes in the US is a hot topic and anyone who tries to do so, no matter how well intentioned, is bound to lose the election… Io replicai istantaneamente ricambiandole la cortesia… Dear Nancy, perhaps it was always been like this before, because elections were prerogative of the wealthier classes. The poor had no faith in them, they considered them the stuff of the rich. But if we now involve them personally to change the country, then all this will become possible and paying taxes will be considered one of the highest republican virtues… Alexandria e Bernie erano in brodo di giuggiole, mai avevano sentito un candidato presidente democratico dire apertamente quelle cose. Gli altri, sebbene ancora perplessi da ciò che fino ad allora era sembrato impossibile, erano affascinati dalla determinazione con cui avevo enunciato le mie idee che in qualche modo evocavano fantasmi giovanili a lungo repressi, ma ancora latenti nei loro pensieri. E io, con perfetto pragmatismo anglosassone, mentre Mario continuava a ripetermi… Ti m’paivi  Lincoln…, dissi… Well, there’s no time to waste. From this moment on our electoral campaign begins. Which won’t be the usual one you’re traditionally used to, with our supporters waving flags with my name like puppets… qui Enzo mi diede un’occhiata ammonitrice, forse stavo spingendo un po’ troppo con l’ironia sulla tradizione elettorale locale… But it will be a wave of joy through US, a celebration of freedom, justice and peace that will cross the country like a snake from coast to coast to the remote places in the north and south. A celebration that will bring together all the wonderful ethnic groups that populate our country according to those universal principles of brotherhood that are the basis of our Constitution… Ma nessuno si risentì, anzi, furono tutti travolti dall’entusiasmo e si abbracciavano e mi abbracciavano con le lacrime agli occhi. Ed era questa la condizione indispensabile perché l’avventura che stavamo per vivere avesse fortuna.

Enzo preparò con Nancy e con Bernie il percorso elettorale attraverso gli States. Iniziammo dal Nord Est, la roccaforte tradizionale democratica, e lì fu tutto facile perché c’era una base che non aspettava altro che si cambiassero le regole non scritte di quelle noiose e ormai inefficaci adunanze.

Vennero musicisti da tutta l’America, che si riconoscevano in quella battaglia nonostante vivessero in altri paesi, e io mi limitai a fare dei brevi interventi per ribadire quello che sarebbe stato lo spirito della mia presidenza. Perché la vera campagna elettorale la fece la musica: folk, blues, spiritual, rock, rap, classica, ogni kermesse divenne un diluvio di note, di canti, di balli, di veglie notturne accanto a fuochi improvvisati, che riconciliavano tutti, tradizionalisti e innovatori. Ma l’apoteosi la raggiungemmo a Woodstock, dove simbolicamente, come spirito della nostra campagna, facemmo tappa elettorale. L’incontro si trasformò in una riedizione ancora più grande, se mai possibile, del raduno/concerto del 1969, quello che cambiò la musica e il costume un po’ in tutto il mondo. E se allora ai “three days of Peace and Rock Music” parteciparono circa 500.000 persone, in questa seconda straordinaria edizione ne arrivò almeno un milione, come se lo spirito hippie americano avesse covato a lungo sotto le ceneri e fosse risorto dopo mezzo secolo di oblio.

Io partecipai a tutti i tre giorni e ogni tanto, a richiesta della folla gioiosamente danzante, salivo sul palco per ribadire i capisaldi del nostro programma. Ma poi non riuscivo neanche a parlare, tanto era l’entusiasmo e il boato ininterrotto che si sollevava dalla marea dei partecipanti. Perché lì non avevo bisogno di convincere nessuno, tutta quella gente sapeva già qual era la direzione che doveva prendere l’America. Lo raccontava la miriade di cartelli che inalberavano, dove si ribadiva quella che era stata la filosofia hippie del Sessantotto americano: Peace and Love ovunque e tanti altri con Put flowers in your cannons  che mi richiamò alla mente una canzone de I giganti, gruppo rock italiano di quegli anni, che diceva Mettete dei fiori nei nostri cannoni. Era scritto in un cartello sulla schiena di ragazzi che senza conoscersi, di città diverse, socialmente differenti, in giro per le strade della loro città cantavano la loro proposta e che all’epoca, era il 1967, fece scalpore a Sanremo.

Il terzo giorno dovetti ripartire dal vicino aeroporto di Lebend perché ero atteso a Nashville, in Tennessee, per un altro incontro elettorale, anche lì un grande raduno musicale dei migliori musicisti folk americani. Erano annunciati Van Morrison, Stills e Nash, Neil Young, Bruce Springsteen, Joan Baez e Mercedes Sosa, i Quilapayùn e gli Inti-Illimani, Isabel Parra, Chico Buarque de Hollanda, Silvio Rodriguez e tanti altri. Scortato da un nugolo di agenti, lasciai dunque il palco di Woodstock e mi diressi verso l’elicottero che doveva portarmi a Lebend. E mentre fendevo la folla a un certo punto intravidi Mario che, con una collana di fiori al collo, seminudo, era seduto al centro di un cerchio di ragazze belle e colorate come un arcobaleno. Mi fermai sbalordito, eravamo d’accordo che saremmo ripartiti insieme per l’impegno successivo. Lo chiamai, faticando a farmi sentire per la musica assordante che veniva da palco. Dovetti mandare un agente a informarlo. Solo allora lui si volse verso di me con un sorriso raggiante, si alzò e mi venne incontro per niente imbarazzato dalla sua nudità senile. E mentre mi veniva incontro scrollava la testa e rideva, come se stesse pregustando qualcosa… Ma Mario, a duvùmma ’ndò, cos’i t’ambelinn-i!… Lui, allora, ancora più raggiante mi disse… Gianni, va ti, ch’a sun següu chi ti g’a fè da sulu a vinse i elesiunn-e… ti  végghi, sun tütti incanté da l’ommu italian ch’u salvià l’America… u’u dixan tütti chi… qui fece una pausa, sorridendo ancora di più… ma… ma mi a rèsc-tu chi, a ghe sc-tâgu trópu bèn… mia, mia che belle fije… mi disse indicando le ragazze del cerchio… e ti savéssi che masaggi i m’fan… e ridacchiò malizioso… Ma a presidensa, u tó ruolu da cunsilié?… ribattei io incredulo… No, no, lascia perde, mi a sc-tâgu ben chi… e così dicendo mi mise al collo la collana di fiori… a te sc-ta bèn, ti duviessci fò i cumissi ’ncu i fiùe ai collu… Poi tornò in mezzo al cerchio delle fanciulle che osannavano estasiate un vecchio di appena novant’anni.               

 

 

 

 

 

 

 

 

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