La guerra russo-ucraina ha assunto presso l’establishment occidentale un significato su cui hanno insistito a lungo e continuano ancora a insistere gli stessi ucraini: si tratta di salvare i valori dell’Occidente minacciati dalla barbarie autocratica e oscurantista russa. È uno scontro tra civiltà incompatibili e la sconfitta dell’una o dell’altra può cambiare il destino del mondo. Premesso che ci sembra un po’ esagerata questa valutazione del conflitto, ci viene spontanea e doverosa una riflessione: ma quali sono i valori dell’Occidente? Ovvero quali sono sulla carta i valori dell’Occidente e quali sono i valori che effettivamente esso esprime e mette in pratica?
Innanzitutto occorre andare a ricercare nella Storia da dove ci derivano questi valori e quali sono i soggetti individuali, i movimenti culturali, i fenomeni politici e le entità statali che hanno contribuito maggiormente alla loro gestazione. Nella prima stesura del Preambolo alla Carta dell’Unione Europea era stata inserita una citazione di Tucidide che recitava testualmente: “ La nostra Costituzione si chiama democrazia perché il potere non è nelle mani di pochi, ma dei più”. Poi, nella stesura definitiva è stata tolta e non capiamo perché, in quanto l’ascendenza culturale europea sia alla filosofia greca del V e IV secolo a.c. sia all’esperienza politica dell’Atene di Pericle è indubitabile. Così come alla storia del Cristianesimo occidentale, altra omissione fortemente voluta dai laici, ma che contraddice la realtà dei fatti storici e il formarsi del pensiero nell’Europa cattolica e riformata.
Ci sono, dunque, due filoni fondamentali di crescita culturale in Europa che ci derivano dall’antichità classica – spesso in aperta collisione tra di loro, altre volte assolutamente intrecciati – che hanno contribuito a determinare quello che nel Preambolo viene definito il “patrimonio spirituale e morale” dell’Unione, quei “valori indivisibili e universali della dignità umana, della libertà, dell’uguaglianza e della solidarietà”.
Il primo, quello della cultura greca, parte idealmente e concretamente da Socrate e, attraverso Platone e Aristotele – le cui opere sono sopravvissute grazie alla solerzia di abati e monaci amanuensi – si è innestato prima nella romanità e nella sua cultura giuridica, poi nella Scolastica e nella sua speculazione filosofica, fino a tradursi alle soglie della Modernità nel “Cogito, ergo sum” di Cartesio che diede inizio al pensiero laico nella cultura europea. L’approdo successivo fu l’Illuminismo, cioè quel vasto movimento filosofico-culturale che voleva liberare la mente degli uomini ottenebrata dal fideismo e dalla superstizione che erano prerogativa della religione. E del vasto pullulare di voci che emersero da questo movimento quella che si dimostrò più consona a rappresentare e tutelare la libertà dell’individuo così come la intendiamo noi oggi fu quella di Immanuel Kant, che spostò l’interesse della speculazione filosofica dall’ambito metafisico alla ricerca sulle condizioni del conoscere, cioè al pensiero critico che, dopo la parentesi dell’idealismo e dello storicismo, ha caratterizzato la contemporaneità.
Kant, Voltaire, Rousseau e Montesquieu furono, con le loro idee sull’uomo e sui suoi diritti, la base fondante dei due fenomeni politici che più hanno influenzato la contemporaneità, la rivoluzione americana e la rivoluzione francese, da cui scaturirono quei valori che oggi vengono definiti dell’Occidente. Essi sono stati sanciti nei documenti di quelle due rivoluzioni e si sono poi diffusi in Europa e a livello planetario.
E così nella dichiarazione di indipendenza americana si dice “che tutti gli uomini sono creati eguali; che essi sono dal Creatore dotati di certi inalienabili diritti, che tra questi diritti sono la Vita, la Libertà, e il perseguimento della Felicità; che per garantire questi diritti sono istituiti tra gli uomini governi che derivano i loro giusti poteri dal consenso dei governati; che ogni qualvolta una qualsiasi forma di governo tende a negare questi fini, il popolo ha diritto di mutarla o abolirla e di istituire un nuovo governo fondato su tali principi e di organizzarne i poteri nella forma che sembri al popolo meglio atta a procurare la sua Sicurezza e la sua Felicità”. E nella dichiarazione dei diritti dell’uomo del 1793, il punto più avanzato della democrazia rivoluzionaria in Francia, si dice che “lo scopo della società è la felicità comune. Il governo è istituito per garantire all’uomo il godimento dei suoi diritti naturali e imprescrittibili”, che “questi diritti sono l’uguaglianza, la libertà, la sicurezza, la proprietà”, che “tutti gli uomini sono uguali per natura e davanti alla legge” e che “la libertà è il potere che permette all’uomo di compiere tutto ciò che non nuoce ai diritti degli altri; essa ha per principio la natura, per regola la giustizia, per salvaguardia la legge; il suo limite morale è in questa massima:”Non fare agli altri ciò che non vuoi sia fatto a te ”.
Questo è quanto, negli eroici furori rivoluzionari, si spinsero ad enunciare i protagonisti di quegli eventi, che poi ha dovuto in più occasioni confrontarsi, e spesso ridimensionarsi, con la prosaicità della Storia; e se nei neonati Stati Uniti d’America c’è stato storicamente solo un momento critico per la sopravvivenza dell’esperienza democratica e repubblicana, la guerra civile del 1861-1865, per quel che riguarda la Francia e gli ideali della rivoluzione francese c’è stato da allora un continuo scontro tra le idee rivoluzionarie e quelle reazionarie che ha visto prevalere ora le une ora le altre in tremende carneficine che hanno insanguinato l’Europa. Se si pensa che poi su tutto questo si è innestata anche la lotta di classe nelle sue diverse espressioni, ecco che i valori dell’Occidente si complicano fortemente e, soprattutto nel Novecento, si dibattono nello scontro tra idealismo – sia di destra che di sinistra – e criticismo. Il risultato: due terribili e sanguinose guerre mondiali in cui l’Europa è stata l’epicentro della tragedia. Eppure, sia da una parte che dall’altra degli schieramenti si rivendicava la difesa dei valori dell’Occidente.
Sappiamo com’è andata: sconfitta la destra autoritaria, xenofoba e liberticida grazie all’intervento della democrazia americana e alla resistenza dell’Unione Sovietica, l’Europa si trovò divisa in due blocchi contrapposti sempre più diffidenti e ostili l’uno nei confronti dell’altro, due concezioni del mondo antagoniste, quella capitalistica e democratica degli Usa e quella comunista e autoritaria dell’URSS e dei suoi satelliti. E gli USA da quel momento in poi diventarono i padrini dell’Occidente europeo, condizionandone anche l’autonomo sviluppo democratico (si pensi all’avversione nei confronti dei partiti comunisti presenti nei parlamenti di alcune nazioni europee, in particolare il Partito Comunista Italiano, e nei confronti della proposta di Enrico Berlinguer di un compromesso storico con la Democrazia Cristiana).
Ma soprattutto l’idea di libertà americana portava con sé un valore fino ad allora sconosciuto agli europei, quello del consumo e del liberismo economico sfrenato. La democrazia doveva favorire lo sviluppo, la soddisfazione anche dei bisogni superflui, la competizione economica affidata completamente al mercato, l’affermazione dei self made man come emblema dello spirito americano. L’aspetto solidaristico era lasciato all’associazionismo laico e religioso, non era compito dello Stato provvedere ai bisogni primari delle popolazioni.
Strette in questa morsa di gratitudine per la guerra vittoriosa e di occupazione militare dei territori diventata permanente, le democrazie europee cercarono comunque di recuperare principi propri della loro tradizione democratica e li inserirono nelle loro rinnovate Costituzioni, soprattutto sotto l’aspetto delle politiche sociali, che con lo sviluppo dialettico del confronto parlamentare portarono al varo di leggi e di norme a difesa dei lavoratori assolutamente inconcepibili nel concetto di democrazia degli Stati Uniti d’America.
Ma se questo fu il contributo politico e laico alla fondazione di questi valori, non si può negare che ad essi contribuì anche lo sviluppo culturale del cristianesimo occidentale. Le varie chiese cristiane nate in seguito a scismi o riforme oltre a portare avanti il loro messaggio confessionale hanno svolto nei secoli, soprattutto nelle loro frange monacali e di associazionismo laico cristiano, un’opera sociale straordinaria ispirata direttamente al messaggio evangelico più che alle disposizioni delle gerarchie ecclesiastiche; queste realtà, spesso in odore di eresia, sono state ripetutamente perseguite dall’alleanza contingente di stato e chiesa, per altri versi fieramente contrapposti, ma sempre pronti a difendere insieme lo status quo e la rispettiva autorità. Ne è emersa nei secoli una dottrina sociale – codificata per la prima volta nella Rerum Novarum (1891) di papa Leone XIII – che rifugge il conflitto, pacifica e non violenta, che mette al centro l’uomo così come fa la Dichiarazione dei diritti dell’uomo promossa dall’Onu nel 1948. E oggi lo fa – con il pontificato di papa Francesco – al di fuori del confessionalismo, senza fare distinzioni tra i credi e le fedi secondo lo spirito universalistico proprio dei vangeli.
In questo quadro di valori ci sarebbero dunque le premesse perché l’Occidente possa svolgere un ruolo di mediazione a livello internazionale – proprio sulla base della sua cultura filosofica e politica – che contribuisca alla risoluzione dei numerosi conflitti che affliggono i popoli della Terra e delle emergenze umanitarie da essi determinate nonché a fronteggiare gli incipienti mutamenti climatici che rischiano di spazzare via buona parte della vita dal nostro pianeta. E in effetti l’Occidente continua a tentare di svolgere questo ruolo, ma non lo fa con i buoni propositi e principi ribaditi in quei documenti storici e anche nelle sue attuali Costituzioni. Lo fa con lo stesso atteggiamento imperialistico con cui ha sfruttato per secoli terre che considerava colonie e popoli che, al di là delle dichiarazioni di principio, considerava inferiori; e oggi è in difficoltà perché non ha più i muscoli per farlo e neppure la capacità diplomatica per favorire accordi di pacifica convivenza.
Ed è con questo spirito – minato ormai alla base da un’inarrestabile debolezza – che ha messo in piedi “operazioni di polizia internazionale” (così sono state definite) che di fatto si sono trasformate in occupazioni militari di lungo periodo, magari chiuse poi frettolosamente e con tutti gli strascichi possibili per le popolazioni locali visto l’insuccesso a cui stavano andando incontro; e allora, di fronte a questa pervicacia di dominio del mondo sempre secondo i canoni del colonialismo, noi ci chiediamo criticamente: fa forse parte dei valori nobili dell’Occidente mandare proprie truppe a occupare un paese per “favorirne” il processo di democraticizzazione? O produrre armi sempre più potenti e sofisticate affermando che servono per garantire la pace, ma di fatto alimentando i vari conflitti nel mondo? O mandare ai paesi poveri i propri scarti alimentari facendoli passare per straordinari aiuti umanitari? O riempire con i propri rifiuti molti paesi del sud del mondo e definire questo scempio cooperazione internazionale ? O saccheggiare le materie prime di questi stessi paesi affermando che lo si fa per il loro sviluppo? O decidere di cambiare con un golpe un governo eletto legittimamente dicendo che è il popolo che non lo vuole più? O se un governo amico elimina gli oppositori giustificarlo perché erano sicuramente terroristi? O se un aereo militare di un paese occidentale ne abbatte, per errore, uno passeggeri di un altro paese occidentale negare che fosse in volo quella sera? O se un presidente di un grande paese si dimostra troppo democratico improvvisamente salta fuori un pazzo che decide di ucciderlo? O se c’è un “incidente” nel reattore di una centrale nucleare dire sempre e soltanto che la situazione è sotto controllo? O se il G8 di Genova si conclude con una “macelleria messicana” dire che la “democrazia italiana” si è autodifesa? O se il sole sta bruciando la terra a causa dell’eccesso di gas serra da noi prodotti non affrontare immediatamente il problema ma procrastinarlo negli anni?
È la realtà dei fatti a dimostrare che l’Occidente sbandiera principi in cui in verità non crede, che rinnega in continuazione senza neanche più porsi il problema della sua incoerenza. E se qualcuno prova a rammentargli ciò che sta succedendo – a mettere il dito sulla sua piaga purulente della degenerazione autoritaria delle democrazie occidentali – viene tacciato come sovversivo antisistema, mela marcia, anarchico o comunista. E non conta se si tratta di un giovane dei centri sociali o di un costituzionalista, vengono tutti trattati allo stesso modo, ogni dissenso fa scattare l’isteria tipica del potere che vuole essere tale, ma si sente sempre più precario.
E del resto costoro ormai rappresentano una percentuale del 30, massimo 40% di coloro che avrebbero diritto al voto – che nella maggioranza non ci vanno perché non credono più alla politica e ai suoi presunti ideali – e quindi quella che esercitano non è democrazia, ma la morte della democrazia.
È, dunque, questo il modello di democrazia a cui l’Ucraina ambisce? È per questi valori disattesi dell’Occidente che sta combattendo? Oppure il suo richiamo ad essi è dettato semplicemente – così come avvenne per gli altri paesi dell’ex blocco sovietico – dal miraggio del cosiddetto “benessere” europeo? Sanno gli ucraini che l’entrata nell’Unione europea di quei paesi ha influito negativamente sulle tasche e sulla dignità sociale dei popoli dell’Europa occidentale? E che questo ha generato malcontento e risentimento in essi fino a farli diventare nemici interni dell’Unione? Da parte nostra crediamo che forse sia meglio che gli ucraini difendano semplicemente e giustamente se stessi e i “loro” valori.
Difendere i valori dell’occidente.
Se si considera la situazione di estremo pericolo che corre la stessa esistenza dell’uomo sulla terra (non della terra) si direbbe che i valori dell’Occidente ci stanno portando sull’orlo di un abisso.
Il filosofo ha affermato che l’occidente è una follia ed è la follia che oramai si è estesa a tutto il pianeta. All’interno della follia la volontà di dominio dell’uomo e all’interno di questa volontà di dominio una storia che è fatta di violenza, di guerre, di ingiustizie e di orrori di ogni tipo. È quindi inevitabile concludere che i cosiddetti valori dell’Occidente sono piuttosto dei disvalori?
Stando al solo XX secolo, se consideriamo le due guerre mondiali, la Shoà, e tutte le altre guerre dopo di quelle, e tutti i problemi legati all’inquinamento e allo sviluppo compatibile sembrerebbe inevitabile lo scetticismo più assoluto, ma se si considera anche il concomitante enorme sviluppo tecnologico e di conseguenza anche lo sviluppo economico e sociale, tanto grande quante sono le aree del mondo che sono uscite dalla condizione di assoluta povertà, si potrebbe essere più ottimisti. Quindi unitamente alle tragedie, anche un dominio sul mondo tale da incrementare un benessere e un progresso dell’uomo del tutto inimmaginabile rispetto ad ogni epoca storica precedente. D’altra parte se questo sistema generale include in se stesso un principio autodistruttivo è pur sempre sul fondamento di questo stesso sistema che si pensa si possa anche risolvere tutti i problemi che esso ha determinato. Non sembra esserci, almeno per tale sistema, altra via d’uscita.
Perché ad es un sistema come quello del socialismo reale, che tante speranze aveva sollevato, ad un certo punto implode su se stesso senza che qualcuno dall’esterno, che pure gli è nemico dichiarato, lo annienti?
Che cosa alberga inconsciamente il sistema dell’Occidente tale da portarlo alla soglia della sua stessa autodistruzione? E più in generale in che cosa consiste il carattere autodistruttivo di ogni produzione? (perché per costruire una casa si deve distruggere il prato su cui sorge?).
(una risposta più tecnica e precisa si porterebbe al cuore stesso del pensiero filosofico della Grecia antica, non a caso si dice che Platone è il fondatore dell’Occidente, ma tenuto conto dello spazio che abbiamo a disposizione ci limiteremo a qualche considerazione più o meno approssimata).
Intanto diciamo che un valore che debba essere difeso non ha valore, proprio perché in quel caso è ciò che consente di difenderlo, il vero valore. Quindi ciò che ha valore è ciò che è destinato ad imporsi di per se stesso, e cioè sul fondamento di tale valore, di la che qualcuno lo voglia o meno. Non quello che qualcuno vuole ma quello che si è destinati a volere tutti, ha valore.
Giustamente Repetto va alla ricerca dei testi che attestano i valori fondanti dell’Occidente e giustamente li colloca all’interno della storia del pensiero filosofico dell’Occidente e alle costituzioni liberali degli stati democratici, la costituzione dell’Europa, la carta dei diritti universali dell’uomo dell’ONU, ecc. che ne sono poi delle specifiche applicazioni.
In essi si dichiarano solennemente la difesa dei valori inalienabili e indivisibili della vita, della libertà, dell’uguaglianza, della solidarietà, della dignità della persona, del diritto naturale alla famiglia, ecc. Ora si può dire che i veri valori dall’Occidente sono quelli dichiarati in questi testi ?
Se stiamo alla definizione di valore data qui sopra, e cioè di un valore che sappia affermarsi da sé stesso, senza che qualcuno debba preoccuparsi di difenderlo, allora i valori dell’occidente non sono quelli scritti sulla carta, che sono interpretati certamente come fini da perseguire, e a cui si deve ispirare l’azione e la volontà dei singoli, dei gruppi sociali, degli stati, ecc. ma, fondamentalmente, non sono in grado di affermarsi da se stessi ma richiedono che siano realizzati mediante un che d’altro e cioè da strumenti adeguati concreti, che solo in essi è riposta l’evidenza di una verità di fatto, la sola che in Occidente, ma poi anche nel resto del mondo, si ritiene incontestabile nell’ambito di una dimensione intersoggettiva.
Ad esempio se prendiamo la nostra costituzione si è soliti dire che il rapporto
tra quella che è definita la costituzione formale delle leggi (e dei principi) e la costituzione materiale, (e cioè la realtà di fatto dello stato) vi è uno iato profondo e pressoché incommensurabile, perché ci si rende conto che i principi hanno un valore ideale su cui grosso modo si è tutti d’accordo, mentre è un problema quando si deve passare alla loro realizzazione, e normalmente è lì che si scatena la guerra di tutti contro tutti.
Comunque stabilito che in linea di principio l’enunciazione dei valori e dei principi nella modalità ideale non costituisce un problema per nessuno, viene da chiedersi: perché non ci si accontenta dell’enunciazione ideale su cui si è tutti d’accordo e invece si ritiene che solo la loro realizzazione concreta, sia necessariamente da perseguire come la stessa ragione sufficiente dell’esistere del qualsiasi esistente? Si risponde che solo la realtà concreta e particolare (l’esperienza) ha per il mondo intersoggettivo evidenza di verità. (mentre le idee sono invisibili agli altri, e cioè la coscienza degli altri non appare come appaiono le cose).
In altri termini tutto ciò che si presenta in termini ideologici è considerato dall’uomo insufficiente perché è solo una verità di fatto che soddisfa, almeno momentaneamente, il suo desiderio.
(l’uomo non si accontenta dell’idea di avere diritto al lavoro, ma vuole un lavoro reale, non si accontenta dell’idea di avere diritto di avere un’abitazione, ma la vuole di fatto, non si accontenta dell’idea di avere diritto di poter mangiare, vuole mangiare, ecc. ).
Ma già da questi elementi introduttivi e parziali non si sta forse delineando il vero valore di fondo su cui viene avanti l’Occidente e che oramai ha conquistato l’intero pianeta, e cioè la struttura mezzo-fine che è appunto quella struttura che è comune sia ai piccoli gesti quotidiani, come il prendere in mano un libro, il gettare uno sguardo fuori dalla finestra, sia a quei gesti in cui sono impegnate macrostrutture di processi complessi come ad es il sistema economico basato sul capitalismo, o il conflitto tra paesi poveri e paesi ricchi del mondo, o come la dottrina sociale della chiesa che vuole la redistribuzione dei profitti, o come la democrazia in cui si intende salvaguardare il diritto alla libertà degli individui, o come la salvaguardia del pianeta, lo sviluppo compatibile, o l’islam, ecc.
Tutta questa infinità di processi sono caratterizzati da un fine ideologicamente determinato ma ciò che realizza tale fine sono i mezzi, i soli che si ritengono idonei a trasformare in realtà quegli ideali.
Ora all’interno di un mondo così fatto, i valori non sono i valori che i popoli possono liberamente darsi, ma sono i valori che sono espressi dall’apparato tecnico-scientifico, la cui attendibilità riguarda la capacità di fornire soluzioni reali (e non semplicemente ideali) ai problemi. D’altra parte è pensabile che l’uomo possa fare a meno della luce elettrica, del frigorifero, della televisione, dei telefonini, dei mezzi di trasporto, della sanità, della scuola, ecc. ? no, di certo, morirebbe in poco tempo e questo significa che il mortale, nella misura in cui si subordina alla potenza dei mezzi che produce, non è affatto libero di decidere ma si impone (non ha un’altra scelta) di aderire sempre di più a quell’apparato, che per un certo periodo ha pensato che fosse a sua disposizione e che oggi si rende conto sempre di più di essere lui a disposizione di quell’apparato.
Si capisce che se a realizzare i fini sono i mezzi, sono poi questi ultimi ad avere una importanza maggiore rispetto a quello che inizialmente si riteneva fosse più importante.
E cioè, siccome il fine ha un carattere immediato, mentre i mezzi sono dei fini secondari che a loro volta devono essere prodotti, ne viene che la realizzazione del fine primario comporta un tempo che sia dedicato alla realizzazione dei fini secondari, e sono poi questi fini secondari che nel tempo si avverte che sono i veri detentori della potenza e da strumenti e cioè fini secondari diventano essi i fini primari. A questo punto è l’uomo ad essere considerato il mezzo per il potenziamento di quei fini, e cioè degli strumenti, i soli che danno potenza all’uomo.
In altri termini quando si comprende che l’idea, astrattamente separata dalla realtà esistente, perde di significato avviene quel rovesciamento per cui è l’idea e con essa l’uomo che la pensa, che fa da strumento e mezzo per la realizzazione degli strumenti che diventano la vera finalità, i soli che danno esistenza concreta al soddisfacimento degli uomini. (infatti di una libertà, solidarietà, eguaglianza in astratto, l’uomo dell’Occidente non sa che farsene, vuole ciò che egli considera come reale, tangibile, oggetto di possesso concreto e non semplicemente ideale).
Ora i mezzi a disposizione dell’uomo contemporaneo sono molti, e si sono accresciuti storicamente, e sono destinati ad accrescersi in modo esponenziale in futuro.
Questo insieme di strumenti che vanno dalle scienze dure, (matematica, geometria, fisica, chimica, ecc.) alle realizzazioni tecnologiche, va sotto il nome di apparato tecnico-scientifico, che è la forma di “verità” (ovvero che ha la maggiore attendibilità a livello intersoggettivo) con cui si crede si possano risolvere la maggior parte dei problemi dell’umanità.
Quindi i valori, scritti sulle varie carte costituzionali degli stati, o delle organizzazioni internazionali, non sono che dei valori di superfice, valori ideali astratti, del tutto inconsistenti, destinati ad essere sepolti dall’alluvione del divenire della storia. Sono cioè valori che senza le strutture e le istituzioni che sorgono in loro difesa non potrebbero esistere, ma questo non fa che confermare che senza i mezzi quelle idealità sono del tutto inconsistenti.
Ma anche in relazione alla guerra in Ucraina, il diritto internazionale non dimostra in modo plateale quanto sia inefficace di fronte al ricorso delle armi?
Dall’incomprensione delle parti, si è passati alla guerra come continuazione della politica con altri mezzi. E qui l’incomprensione si risolve non a vantaggio di chi ha ragione ma secondo la ragione del più forte. In altri termini il discorso fra le parti in conflitto non ha più senso, quello che si scontra è la potenza degli strumenti tecnologici messa in campo in tutte le sue forme, quindi non il diritto ma i rapporti di forza alla fine potranno determinare chi ha ragione o chi ha torto, o anche semplicemente arrestarsi in una forma di equilibrio. Il che significa che è del tutto plausibile, che di fronte ad una pseudo-guerra, quale polarizzazione di una forma di conflittualità che sembra delinearsi in termini più complessivi tra occidente e oriente, si vada avanti per anni prima di pervenire ad una situazione in cui, stabilito che neanche le armi sono state in grado di decidere chi ha “ragione”, si prenda coscienza e consapevolezza dalla follia dell’accaduto e si ritorni al dialogo (magari con altri protagonisti).
Più in profondità il valore perseguito non solo dall’Occidente ma anche dall’Oriente è quello che è legato alle evidenze della realtà di fatto.
E questa realtà di fatto, è costituita dall’apparato tecnico-scientifico, il solo in grado di realizzare quello che le istanze ideali vorrebbero, ma si è visto nel rovesciamento del fine in mezzo che l’ideale è destinato a diventare il mezzo in direzione del potenziamento indefinito della potenza dell’apparato. (si pensi ad es all’onnipotenza di uno strumento come internet).
Il vero valore, o meglio il valore nascosto dell’Occidente, è infatti non quello di cui occorre preoccuparsi di difendere, ma quello che si è destinati a volere, e attualmente quel valore è appunto quello che riguarda l’incremento del potenza del sistema Tecnico-scientifico. L’uomo vuole avere il massimo della potenza che gli è consentita, vuole il dominio sulla natura e sull’uomo stesso nel tentativo vano di sfuggire la propria morte. Ma il cammino che l’umanità è destinata a percorrere, chi d’altra parte potrebbe mai opporsi alla volontà trascendentale incarnata dall’apparato tecnico-scientifico? apparato che vuole quel potenziamento del sistema in grado di risolvere la maggior parte dei problemi dell’umanità, meno uno, ed è in relazione a quest’ultimo, che quel sistema è incapace di risolvere, che si presenta per l’umanità un’altra via per ripensare se stessa e il suo rapporto con il mondo.
Caro Gianni, sono pienamente d’accordo con te. La retorica sui valori dell’Occidente orientata alla propoganda guerrafondaia è diventata insopportabile. E con un’analisi profonda e storica ci metti davanti alla nuda realtà: quei valori non ci sono più. E dove sopravvivono flebilmente, sono continuamente calpestati proprio dallo stesso Occidente. Oggi leggevo una notizia che non ha fatto notizia: quella del giornalista paficifista ucraino obiettore di coscienza Rusian Kotsaba, nuovamente a processo ( il primo fu nel 2015) per avere espresso le sue idee pacifiste. Ma basta guardare a come vengono trattati coloro che hanno osato esprimere qualche dubbio sull’entusiasmo con il quale si è deciso di mandare armi per fomentare questa guerra anche nel nostro Paese. Viene da rabbrividire, altro che tolleranza e libertà di espressione.
Difendere i valori dell’Occidente è un luogo comune con il quale si maschera una sola certezza: difendere un sistema economico iniquo e basato sullo sfruttamento dell’uomo e della natura, da sempre. Aprirci agli alti, anche ad Oriente, e cercare insieme una soluzione alle vere grandi emergenze dell’umanità, prima fra tutte quella ambientale, sarebbe stato l’unico modo per difendere davvero i valori di un Occidente ormai al tramonto.