Pubblicazioni – Corsica

Ieiettu

di Guidu Benigni a cura di Gianni Repetto

Recensione Acquista

Il grande linguista, scrittore e patriota italiano Niccolò Tommaseo fu costretto nel 1834 ad andare in esilio volontario in Francia per sfuggire alle proteste austriache, e alle probabili conseguenze giudiziarie, suscitate da un suo articolo a favore della rivoluzione greca. Dopo aver soggiornato a lungo a Parigi e in Provenza, si trasferì in Corsica, dove, contando sull’amicizia e la collaborazione del magistrato e scrittore “bastiaccio” Salvatore Viale, proseguì le sue ricerche di italianistica e contribuì a raccogliere numerosi canti della tradizione orale corsa, molti dei quali confluirono nel suo libro “Canti popolari toscani, corsi, illirici e greci[1] che è uno dei primi esempi italiani di raccolta sistematica e scientifica di poesia popolare.

Da questa esperienza Tommaseo derivò una conoscenza approfondita della lingua corsa che definì il “dialetto italiano più schietto e meno corrotto” e una “lingua possente, e de’ più italiani dialetti d’Italia”. D’altro canto lo stesso Salvatore Viale, che in seguito al lavoro iniziato con Tommaseo pubblicò poi, nel 1843, la sua raccolta di “Canti popolari corsi”[2], nella premessa a quell’edizione, rivolta esplicitamente “ai lettori corsi”, dice testualmente: «Dalla lettura di queste canzoni si vedrà che i Corsi non hanno, né certo finora aver possono, altra poesia o letteratura, fuorché l’italiana. Il fonte e la materia della poesia in un popolo sta nella sua storia, nelle sue tradizioni, nei suoi costumi, nel suo modo d’essere e di sentire: cose tutte nelle quali l’uomo côrso essenzialmente differisce da quello del continente francese e soprattutto dal prototipo dell’uomo francese che è quel di Parigi. Non parlerò della lingua la quale è più sostanzialmente informata da questi stessi principj; e la lingua côrsa è pure italiana; ed anzi è stata finora uno dei meno impuri dialetti d’Italia». E lo dice nonostante abbia scritto in lingua corsa il suo testo letterario più noto, la “Dionomachia” (La battaglia dell’asino)[3], che Tommaseo definì la più importante opera di genere eroicomico dopo “La secchia rapita” di Alessandro Tassoni.

È da queste considerazioni che è nata l’idea di proporre ai lettori italiani e a quelli corsi questo bel racconto di Guidu Benigni, scrittore corso della Balagna. E di proporlo con la traduzione italiana a fronte, non per sfiducia nelle capacità di comprensione del corso da parte dei lettori italiani né nei confronti del corso come lingua letteraria, ma affinché corsi e italiani si rendano conto quanto le due lingue siano sorelle sia a livello specificatamente linguistico che di evocazione dell’immaginario.

Che le due lingue si assomiglino è una constatazione di primo acchito che può fare qualsiasi lettore e la stessa impressione di identità si ricava reciprocamente anche nell’ascolto dei due idiomi. Del resto, lo sostengono i linguisti, il corso e l’italiano sono, tra le lingue romanze, senz’altro le più vicine. Basti pensare ai dialetti parlati nelle regioni settentrionali della penisola: se proviamo a confrontarli con l’italiano, ci rendiamo immediatamente conto quanto essi siano ben più lontani dalla nostra lingua nazionale di quanto lo sia il corso. E se provassimo a comunicare oralmente con questi idiomi con dei parlanti il corso, non riusciremmo assolutamente a farci intendere.

Pertanto, affermare che il corso e l’italiano sono lingue sorelle è un dato inequivocabile, scevro da ogni implicazione di subalternità della prima rispetto alla seconda, in quanto non si tratta di una variante “povera” dell’italiano, ma di una lingua a sé stante con una propria storia. Che poi tra le due lingue ci siano state delle relazioni storiche ben precise, anche questo è un dato inequivocabile. Proviamo a ricostruirle.

L’italiano, nella sua versione più vernacolare “toscana”, è stato per secoli la lingua ufficiale della Corsica, quella, per intenderci, usata negli atti politici, amministrativi e giudiziari e in tutte le attività elettive. Colonizzata dai romani e quindi latinizzata, la Corsica ha subito in epoca medioevale prima la dominazione pisana e poi quella genovese, durante le quali c’è stata una consistente migrazione verso l’isola soprattutto da parte di toscani, in particolare lucchesi e pisani, favorita anche dalla vicinanza territoriale. L’onomastica corsa ne è una conferma e molte sono le famiglie che vantano parenti nei rispettivi territori, sia di recente che di antica emigrazione. Ma così anche la lingua, che ribadisce costrutti e termini lessicali di origine toscano vernacolare.

I colonizzatori genovesi, che pure parlavano un idioma nettamente diverso dal toscano antico, lo mantennero come lingua dell’ufficialità, in quanto si era ormai consolidato come lingua colta di riferimento del ceto intellettuale dell’isola così come era già avvenuto in buona parte dell’Italia. Pertanto, si determinò negli anni della dominazione genovese una sorta di trilinguismo: il corso, lingua derivata direttamente dal latino e storicizzatasi nella parlata quotidiana popolare; l’italiano, lingua dell’ufficialità scritta e orale nelle sue varie funzioni; il genovese, lingua delle relazioni ordinarie e intime delle ristrette elite di governo e mercantili che si erano trasferite da Genova sull’isola (in particolare a Bonifacio – dove ancora oggi una parte consistente della popolazione della città è di origine ligure e parla un corso molto influenzato dal genovese antico – Calvi e Bastia).

Ma la convivenza pacifica a livello linguistico cessò bruscamente nel 1769, quando i francesi, subentrati a Genova nel possesso dell’isola in quanto la Superba non era più in grado di fronteggiare la rivolta del movimento indipendentista di Pasquale Paoli, sconfissero le truppe della repubblica paolina a Ponte Nuovo. Essi cominciarono immediatamente l’opera di francesizzazione dell’isola, che tuttavia si rivelò più difficile del previsto da quanto la Corsica era profondamente affine per lingua e cultura all’Italia. A tal punto che, per sradicare questo retaggio secolare, nel 1859 proibirono l’uso dell’italiano sia nei documenti ufficiali che nelle istituzioni pubbliche. Ma anche questo drastico provvedimento non dovette avere grandi effetti se, nel 1880, l’ispettore primario della circoscrizione di Corte, Charles Schuwer annotava nel suo testo “Quelques mots sur l’instruction primaire en Corse avant e depuis le 1789”[4] quanto fosse ancora precaria la diffusione della lingua francese all’epoca: “Sono oggi 112 anni che la Corsica è francese […]  ed è solamente nel 1836 o 1837 che si è cominciato a insegnare la lingua nazionale nelle scuole! Sì, la si insegna in classe, ufficialmente, nella grammatica, nei libri di lettura; ma nella conversazione tra compagni, in famiglia, è ancora il dialetto còrso che è tutti i giorni in uso, l’ho potuto constatare io stesso nei miei giri di ispezione; vado ancora più in là, ci sono ancora degli istitutori che si servono dell’italiano per fare le loro lezioni! Ebbene! E’ contro questa disdicevole abitudine che noi dobbiamo reagire, noi che siamo incaricati della sorveglianza e della direzione dell’insegnamento. Bisogna che nella grande patria francese l’unità sia completa, tanto in relazione alla lingue che alla divisione amministrativa”.

E se la scolarizzazione francese di massa procedette, seppur lentamente, in modo capillare in tutta l’isola, molti intellettuali corsi continuarono fino alla prima metà del ’900 a utilizzare l’italiano (nella versione toscano antica) come lingua colta, pur scrivendo nel contempo anche in corso (Petru Giovacchini, Santu Casanova e Anton Francesco Filippini tanto per citarne alcuni).

Del resto, come sostiene Giuseppe Vitolo, dottore di ricerca in Linguistica Italiana presso l’Università degli Studi di Firenze, il corso e l’italiano sono accomunati da un destino insieme identico e diverso, e noi condividiamo in pieno questo punto di vista: “Il còrso è una lingua; essa come tale, nel corso degli anni, ha ottenuto il riconoscimento di idioma regionale e aspira legittimamente a diventare lingua ufficiale accanto al francese. Ma, essendo opinione comune quella secondo la quale il còrso è lingua polinomica, tuttavia la polinomia stessa le impone di rafforzare tale status, evitando di ignorare una componente fondamentale della sua evoluzione, l’italiano, con cui il còrso potrebbe stabilire non un rapporto di subalternità, ma di parità, utilizzandolo, insieme al francese, come mezzo di arricchimento linguistico. La lingua còrsa può e deve rappresentare non solo un vessillo identitario, bensì anche un vantaggioso strumento, sul piano didattico, di acquisizione, per gli studenti còrsi, del corretto uso delle altre due lingue di riferimento del retaggio culturale dell’isola, il francese e l’italiano, stimolando in loro la capacità di individuare, isolare, e dunque distinguere e porre a confronto, in particolare, le strutture morfosintattiche ed il lessico del còrso con gli altri due sistemi linguistici summenzionati. E’ anche in ragione del suo ruolo di tramite che il còrso assurge a dignità di lingua, a prescindere dal fattore legato all’attuale scarsa consistenza numerica dei suoi parlanti o al grado di importanza della sua letteratura. Inoltre il còrso è lingua, perché è diventata la massima espressione della profonda e radicata coscienza identitaria dei còrsi e dunque oggetto di una netta presa di distanza rispetto all’italiano, con cui, un tempo, era in rapporto di satellizzazione”[5].

Ma se non c’era riuscita la conquista francese a rescindere questo legame corso-italiano in circa due secoli di occupazione, ci riuscì in un breve lasso di tempo la temporanea occupazione fascista dell’isola nel 1942-1943. Già nel corso degli anni ’30 i fascisti avevano finanziato e sostenuto un movimento irredentista, esistente in Corsica, che voleva l’annessione dell’isola da parte dell’Italia, ma che non riuscì mai a diventare movimento di popolo ed ebbe, anzi, l’effetto di rinforzare l’identificazione nazionale con la Francia.

L’occupazione inizialmente non ebbe carattere oppressivo, ma, man mano che si andava consolidando, soprattutto per opera del Partito Comunista, un movimento di Resistenza[6] agli occupanti, la repressione da parte dell’OVRA[7], la polizia politica fascista, e delle Camicie Nere diventò sempre più dura: si ritiene che siano stati 172 i partigiani uccisi e fucilati e 474 i deportati in Italia. Ed è stato a lungo difficile, nella memoria storica dei corsi, rimarginare questa ferita, nonostante fossero stati molti i soldati italiani che, dopo l’8 settembre 1943, si erano uniti alla Resistenza corsa lasciandoci anche la vita.

Il dopoguerra, dunque, diventa il momento di maggior distacco e lontananza tra l’Italia e la Corsica in quanto gli italiani vengono trattati tutti come fascisti e di conseguenza anche la lingua e la  cultura italiana subiscono in Corsica un drastico ostracismo, mentre si aprono le porte a una francesizzazione profonda sia a livello linguistico che di costume.

La situazione sarebbe a tutt’oggi probabilmente la stessa, se non fosse “esploso” negli anni ’70 il cosiddetto fenomeno del “riacquistu”, che si manifestò sia attraverso una diffusa pubblicistica di base sia con azioni dimostrative da parte di gruppi che si richiamavano all’idea di un’identità corsa perduta. Una scheggia del ’68, che si traduceva in Corsica nel desiderio di essere riconosciuti come popolo con una storia, cultura e lingua proprie, al di là dell’appartenenza politica alla Francia e del legame storico, culturale e linguistico con l’Italia. E che diede vita anche al Fronte di Liberazione Nazionale Corso (FLNC), un’organizzazione patriottica che ha combattuto militarmente per anni le autorità francesi fino alla scelta di deporre le armi nel 2014 in un clima politico mutato e più favorevole all’accoglimento delle istanze rivendicative degli indipendentisti corsi.

Iniziò allora un grande movimento trasversale alla società civile corsa che cercò, in vari ambiti, di recuperare cultura e tradizioni dell’isola. E uno dei veicoli di maggior coinvolgimento dell’opinione pubblica fu la riscoperta del canto tradizionale che consentì un primo approccio alla lingua corsa da parte di quanti, soprattutto i più giovani, erano ormai cresciuti di lingua madre francese. E ancora oggi i musicisti corsi o i gruppi di canto popolare usano il corso come forma di espressione esclusiva esaltandone la duttilità linguistico-canora nei diversi generi musicali: si tratti di gruppi folk o di cori confraternali, di cantautori o di gruppi rock, il corso echeggia ovunque con le sue sonorità come “manifesto” dell’anima di un popolo.

Ciò vale anche per la letteratura. E se ci sono grandi scrittori corsi che hanno ottenuto prestigiosi riconoscimenti scrivendo in francese (pensiamo a Jerome Ferrari, premio Goncourt), ce ne sono altrettanti che hanno scelto di scrivere in corso sia per sentimento che per scrittura militante: tra questi c’è, per l’appunto, Guidu Benigni.

Guidu, fin dai suoi primi esordi come scrittore, ha cercato in tutti i modi, con diverse tipologie di testi, di riproporre, usando la variante corsa originale della Balagna, il mondo agropastorale della Corsica arcaica, ritenendo che la vera identità dell’isola sia racchiusa in quell’idea di comunità paesana che aveva al suo centro la terra, fosse essa a pascolo o a coltivo. La sua scrittura ha il ritmo della vita agreste e utilizza a piene mani i modi di dire più autentici della lingua paesana, riuscendo a ricreare con pochi tratti la schiettezza dei luoghi e dei personaggi narrati. Ironico e icastico, Guidu ripropone con sapiente teatralità sia il botta e risposta dei dialoghi familiari che l’incalzare chiassoso e pettegolo delle voci della piazza, si tratti del lavatoio delle donne o del caffè degli uomini. E dal suo raccontare traspare sempre un’innata simpatia, di pelle, ma, forse, anche di classe, per i più deboli, per coloro che devono sopportare ingiuste angherie, siano esse quelle di chi è costretto ad andarsene dalla sua terra a causa di un prepotente colonizzatore o quelle di chi subisce, perché ritenuto sciocco, gli scherzi pesanti dei suoi stessi paesani.

Il racconto che qui presentiamo, “Ieiettu”, è la storia di un’iniziazione paesana nella prima metà del ’900, che vede protagonista un “diverso”, così come spesso ce ne sono stati anche nella civiltà rurale italiana. Un “sempliciotto”, oggetto di scherzi e, talora, purtroppo di scherno da parte del gruppo dei cosiddetti “normali”, che tuttavia riesce con la sua “semplicità” a ritagliarsi uno spazio considerevole e talora determinante (e qui ci sfugge un sorriso compiaciuto, leggendo il testo capirete perché) nella vita della comunità. E se è vero che tutte le comunità rurali europee e forse anche mondiali hanno nei loro tratti fondamentali le stesse peculiarità, questo spaccato di vita paesana corsa combacia perfettamente con altri narrati da autori importanti della letteratura italiana (penso ai veristi, ma anche a Pirandello).

In conclusione, questo racconto di Guidu Benigni non è affatto la riproposta nostalgica di un mondo che solo la lontananza temporale ha reso mitico, ma l’espressione artistica di una memoria attiva che deve farci riflettere su quanto umanamente abbiamo perduto.    


[1] Tommaseo Niccolò, Canti popolari toscani, corsi, illirici, greci: raccolti e illustrati, Girolamo Tasso, Venezia 1841

[2] Viale Salvatore, Canti popolari corsi, Bastia 1843

[3] Viale Salvatore, Dionomachia, P. Dufart, Parigi 1823

[4] Schuwer Charles, Quelques mots sur l’instruction primaire en Corse avant e depuis le 1789, Impr. de Icard-Fournier, 1880

[5] Vitolo Giuseppe, estratto dell’articolo “L’italiano in Corsica quale lingua della memoria storico-letteraria” apparso sul quotidiano on line “Corsica oggi” il 2 ottobre 2015

[6] La rete organizzativa della Resistenza corsa scese in piazza in tutta l’isola già al momento dello sbarco dell’esercito italiano l’11 novembre del 1942. Quel giorno i muri di Bastia furono tappezzati di manifesti, affissi dai liceali della città, che parafrasavano Dante: “Voi chi entrate perdite tutta speranza”. 

[7] Il carattere oppressivo dell’OVRA si fece sentire subito, con la collaborazione della polizia nazionale e della gendarmeria che avevano la lista degli oppositori corsi al governo Petain.