Dieci ragioni per continuare a celebrare il 25 aprile

 

  • Non sappiamo quale sarebbe stata la sorte dell’Italia se dopo l’8 settembre 1943 non fosse nato in alcune zone del nostro paese un forte movimento partigiano per combattere i nazifascisti. Gli Alleati, in tempi più lunghi e con perdite sicuramente maggiori, avrebbero vinto lo stesso, ma la nostra dignità come popolo non avrebbe avuto lo stesso riconoscimento che, grazie alla Resistenza, ha ottenuto.
  • Senza la Resistenza e il variegato movimento partigiano che la condusse, probabilmente nel dopoguerra la monarchia avrebbe visto riconosciuto il suo potere e non avrebbe pagato lo scotto di essere stata propugnatrice e connivente del ventennio fascista e poi della sua guerra disastrosa.
  • La svolta repubblicana del 2 giugno 1946 è stata il frutto delle idee e delle discussioni tra le varie forze politiche democratiche che diedero vita, a partire dal 9 settembre 1943, al CLN. Sebbene non tutte fossero d’accordo sulla scelta, tutte si rendevano conto delle gravi responsabilità che aveva avuto la monarchia nel periodo fascista
  • La lotta partigiana mise fianco a fianco persone, uomini e donne, che avevano magari diverse idee politiche, ma concordavano tutte sulla necessità di combattere il nazifascismo. E se ci furono dei contrasti – ed è innegabile che ci furono – gli esponenti più lungimiranti di queste forze seppero superarli e soltanto così, con l’unità di intenti, si poté giungere alla Liberazione.
  • L’esperienza delle libere zone partigiane (in Piemonte: Langhe e Alto Monferrato, Ossola, Lanzo, Mombercelli; in Liguria: Torriglia; in Lombardia: Saviore, Varzi; in Emilia Romagna: Bardi, Bobbio, Montefiorino; in Friuli Venezia Giulia: Carnia e Friuli orientale, Nimis; in Umbria: Cascia) e l’organizzazione politico-amministrativa che, nella loro breve esistenza, le formazioni partigiane seppero a loro dare fece conoscere per la prima volta a quelle popolazioni i valori della democrazia e della libertà.
  • Le formazioni partigiane instaurarono al loro interno criteri organizzativi diversi rispetto alle truppe regolari, valorizzando il merito e le capacità anziché i titoli e l’autorità precostituita. E l’esempio di questi capi – scelti democraticamente dai loro compagni – che non si tiravano mai indietro, ma erano i primi a compiere le imprese più rischiose, contribuì a infondere in quei giovani, uomini e donne, molti dei quali privi di esperienza, coraggio e senso di appartenenza.
  • Le formazioni partigiane adottarono al loro interno codici di comportamento etico che non solo garantivano le popolazioni locali da ogni tipo di sopruso, ma propugnavano un atteggiamento umanitario anche nei confronti dei nemici che non si erano macchiati di delitti efferati. Fino ad arrivare al punto di punire quei loro membri che trasgredivano quelle regole non scritte.
  • Le forze Alleate sollecitarono e riconobbero l’importanza della guerriglia partigiana nel favorire la loro avanzata verso il Nord del paese e a questo fine inviarono missioni inglesi e americane di contatto e di supporto che organizzarono ripetuti lanci di armi, divise militari e rifornimenti alimentari per le varie formazioni. Ciò che hanno sostenuto spesso coloro che, in quei tempi terribili, non si sono mai esposti e cioè che il movimento partigiano non è servito a nulla se non a inasprire la ferocia dei nazifascisti nei confronti delle popolazioni viene smentito dalle parole che concludono il cosiddetto proclama Alexander del 13 novembre 1944, quello in cui si chiedeva alle formazioni partigiane di interrompere le azioni di guerriglia in quell’inverno in attesa della nuova offensiva primaverile delle truppe alleate: “… il generale Alexander prega i capi delle formazioni di portare ai propri uomini le sue congratulazioni e l’espressione della sua profonda stima per la collaborazione offerta alle truppe da lui comandate durante la scorsa campagna estiva”.
  • Alla lotta partigiana parteciparono prigionieri russi, olandesi, cecoslovacchi, polacchi, olandesi, disertori tedeschi e austriaci della Wehrmacht, francesi sfuggiti all’occupazione tedesca e alla repubblica di Vichy, inglesi, irlandesi, sudafricani, australiani, neozelandesi sbandatisi dalle truppe alleate, greci e jugoslavi ex prigionieri di guerra, ebrei stranieri sfuggiti alle persecuzioni nei loro paesi (31 in totale di cui 11 erano tedeschi, 8 polacchi, 5 austriaci, 2 jugoslavi, 2 ungheresi a cui vanno sommati un russo, un cecoslovacco e un turco), etiopi, somali ed eritrei portati in Italia prima dello scoppio della guerra. Un’umanità variegata, che dà l’idea del genuino internazionalismo di quella lotta per la libertà che non valeva soltanto per il nostro paese, ma per tutti quei paesi in cui essa veniva e, purtroppo, in certi casi viene ancora negata. Alla faccia dei particolarismi e dei razzismi che qualcuno cerca ancora di evocare
  • La nostra Costituzione repubblicana non sarebbe quello splendido documento di diritto dei popoli e di garanzia democratica che è se dietro di essa non ci fosse stata tutta l’esperienza dell’antifascismo e della lotta partigiana. Ogni articolo proposto dai padri e dalle madri costituenti tiene conto di essa ed è il frutto di una mediazione al rialzo tra le forze politiche democratiche che erano rappresentate in quell’Assemblea. Un lavoro straordinario che ha dovuto attendere anni per essere applicato nei suoi aspetti più innovativi e moderni. Un lavoro che qualcuno, senza avere né la competenza né la forza morale di quei grandi, ogni tanto cerca di modificare, producendo soltanto dei peggioramenti che penalizzano la democrazia.

Ecco allora il compito che ci chiede oggi la Costituzione nata dalla Resistenza: salvaguardare la democrazia affinché il sacrificio di migliaia di uomini e donne che sconfissero il nazifascismo non risulti vano e nel nostro paese e in tutta Europa non torni l’incubo, magari sotto altre forme, di quelle dittature.

 

 

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