Itinerari artistico-naturali lungo le valli del Piota e del Gorzente
Tip. L’ Artistica, Savigliano 2002
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PREFAZIONE
LA PIETRA DELLA CONCILIAZIONE – In occasione della mostra collettiva “Pietre”, che tenemmo ad Ovada nell’estate del ’97, io e gli altri componenti del gruppo “Artisti per fede” presentammo un manifesto (riportato in appendice a questo volume) nel quale formulavamo una nuova teoria estetica ed enunciavamo un metodo rivoluzionario di “produzione” artistica. Il presupposto su cui si basavano queste nostre innovazioni era la convinzione che esistessero in natura opere oggettivamente artistiche e che soltanto degli autori – ricercatori illuminati fossero in grado di individuarle e di accoglierne la rivelazione. Riconoscevamo dunque un carattere fortemente elitario alla nostra arte, una specie di scrigno dorato a cui soltanto pochi privilegiati avrebbero potuto accedere. Ma eravamo anche pienamente convinti che l’Arte per fede non poteva essere un’intuizione settaria perché il fatto stesso che si esplicasse in natura le conferiva un ruolo di rivelazione universale. Pertanto, se volevamo che tutto ciò si realizzasse, dovevamo superare la fase necessariamente esclusiva della scoperta e trovare una forma di mediazione con l’inconsapevolezza delle masse. Ecco perché nacque “Pietre”: decidemmo infatti di prendere in prestito dal territorio delle opere artistico – naturali e di esporle temporaneamente al pubblico in modo che tutti avessero l’occasione per riconoscerle; dopodiché provvedemmo a ricollocarle nell’esatto punto di raccolta per ristabilire l’equilibrio infranto. Definimmo allora questa fase “delle pietre ostaggio”, in quanto le avevamo trattenute in cattività con il preciso obiettivo di instillare nel visitatore il germe del dubbio e costringerlo a porsi la domanda: – Sono soltanto pietre o sono anche opere d’arte? -. Si compiva così il primo passo verso una nuova visione della natura che, da oggetto di sfruttamento indiscriminato, diventava soggetto teoretico fondante.
A questo punto bisognava ricongiungere il molteplice all’uno, ridare all’oggetto artistico naturale la sua primitiva collocazione nella galleria a cielo aperto della natura e mettere in condizione i nuovi illuminati di cercarselo tra picchi e rivi con le pratiche ascetiche di rito. La mia attenzione si concentrò allora sulle valli del Piota e del Gorzente, deciso ad individuare dei percorsi artistico – naturali che potessero aiutare i neofiti ad esplicare il loro karma. Si trattava infatti di due valli che erano già state generose fornitrici di “pietre ostaggio” per la mostra di Ovada e che per le loro caratteristiche di integrità morfologica si prestavano ottimamente a questa funzione iniziatrice. Cominciai dunque a percorrerle senza sosta su e giù per il greto, in modo da coglierne fisicamente l’essenza materiale, e mi resi conto che si trattava di due grandiose officine di produzione di opere d’arte naturali, le più grandi che avessi mai veduto. In particolare mi colpì il fatto che niente vi avvenisse per caso, ma che ci fosse un modellatore straordinario, l’acqua, che aveva già un disegno preordinato fin dalle sorgenti, anche quando si trattava di un’alluvione. Sicché il quadro era sempre quello voluto e anche se risultava apocalittico nessuno, aldilà dell’umana disperazione, poteva negarne la bellezza. Ma c’era anche un tempo della grazia, in cui il demiurgo modellatore fungeva da tornio e da fresa dell’oggetto grezzo del cataclisma. Ci voleva tempo, però, il suo tempo. Ed io, invece, ero abituato al nostro, sempre più impazzito, ed era per questo che facevo fatica a cogliere gli elementi minimi di quel divenire. Eppure mi rendevo conto che la perfezione stava proprio nel controllo dell’attimo, nel lavorìo del centesimo, in tutto ciò che avveniva per la forza inerziale degli eventi. Ogni accelerazione artificiale era una forzatura e prima o poi mostrava limiti di consistenza, “sentiva” la mancanza di quei passaggi intermedi naturali che sono la pratica di ogni elaborazione teorica. Ma è proprio questo il limite dell’arte di produzione umana: forma e sostanza appartengono a due sfere distinte e l’opera vive sull’equilibrio precario che si riesce a stabilire tra loro. L’arte naturale, invece, nasce già armonica, per cui non esiste qualcosa che abbia soltanto una forma, ma è sempre e comunque anche sostanza. Essa ripropone continuamente il principio della creazione ed è contemporaneità di pensiero e di materia. Non ci sono pensieri vani in natura, tutto trova il suo compimento. Si potrebbe dire, riprendendo un concetto della metafisica bruniana, che è “res generans” e “res generata”.
Immerso in questa musica di forme, di profili e di vuoti, l’artista si abbandona alla melodia del motivo che la natura ripete da millenni con delle piccole, infinitesimali, progressive variazioni. Strano procedimento a spirale di un viluppo di note che si dipana con regolarità e con stacchi improvvisi, ma risulta sempre rotondo e avvolgente. Come una voce salmodiante che inneggi ad un dio, questo sì sconosciuto, che permea della sua indissolubile presenza ogni frammento di materia. E’ il tesoro di un santuario, custodito con cura e pazienza dal tempo ed elargito a chi ha il coraggio di accollarsene il faticoso riconoscimento. Solo allora gli sarà possibile chiudere gli occhi ed ascoltare l’eco dei riti geologici consumatisi nel ventre della terra milioni di anni fa, quando la pietra, questa pietra, era ancora magma incandescente. Ma qui siamo al tempo prima del tempo, alla sostanza prima della materia, al crogiolo inesauribile in cui si forgiarono i destini del mondo. Quante grida lancinanti di destini compiuti senza accondiscendenza!
Nei santuari della pietra viva tutto si confonde e si rielabora in un crescendo che prelude a un’esplosione, forse un cataclisma, che è sempre nuovo, ma anche inesorabilmente antico. E l’artista gode di questa ebbrezza apocalittica, e allora sale sulle guglie del santuario in cerca dei segni di quell’epifania, e potrebbe anche ascendere al cielo se non si sentisse profondamente radicato nella pietra, anzi, pietra lui stesso. Sicché gli basta un istante per ribaltare il concetto tradizionale di spiritualità, quella sospirata convinzione che astrarsi dalla materia sia un passo necessario verso il completamento. Perché soltanto la materia è veramente pura, palpitante, gioiosamente carnale, anche quando un’effettiva rigidità di struttura la fa apparire indifferente. Essa è viva, laboriosa, paziente, capace di raggiungere ogni volta l’obiettivo e ripartire. E’ il tempo stesso, che non avrebbe ragione di esistere senza la materia. E il tempo è l’unica dimensione spirituale che è possibile sperimentare. Se dunque dovesse esserci un cambiamento di stato in questo processo ascensionale (o discensionale, secondo i punti di vista) consisterebbe in una maggiore materializzazione del corpo dell’artista fino al punto di consentirgli di restare perennemente in veglia nei santuari della pietra e di condividerne fisicamente ogni minuscola mutazione. Sarebbe come ricongiungersi con l’anima materiale del mondo e stabilire un collegamento istantaneo tra l’attimo della prima creazione – esplosione e il divenire del presente.
Mi preme infine sottolineare un aspetto dell’esperienza artistica per fede che ha una funzione straordinaria di catarsi della memoria storico – sociale: la fatica. Essa è una componente essenziale della nostra pratica produttiva, e il suo costante esercizio ci mette idealmente in contatto con le sofferenze dei nostri antenati, quando il lavoro coatto aveva i crismi della schiavitù. Per noi faticare gratuitamente trasportando per ore una pietra ostaggio oppure risalendo un torrente alla ricerca di oggetti illuminanti è come liberare da secoli di umiliazione le anime carnali dei nostri antenati affinché trovino la forza di rivoltarsi almeno nella tomba. E allora l’unico rincrescimento che ci resta è quello di non averli più con noi per far loro provare, anche solo un istante, il piacere della libertà.
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SUGGERIMENTI PER IL NEOFITA
Il percorso artistico che ho appena delineato non è dunque improponibile per l’uomo comune. Dipende tutto dall’approccio, dall’umiltà con cui uno sa affrontare le cose. E’ chiaro che c’è un abito fisico – mentale da abbandonare e un altro da assumere. Se non altro c’è il costume del silenzio, del muoversi nell’ambiente con rispetto, sapendo che noi non siamo nulla al suo confronto. E’ tuttavia probabile che occorra molto tempo di semplice esercizio afasico per rendersi conto della nostra nuova condizione. Ma è anche possibile che bastino pochi istanti per comprendere la sostanza del mutamento, e allora qualsiasi elemento distonico risulterà lancinante.
Cogliere la musica del silenzio è senz’altro il primo passo verso l’oggetto artistico – naturale. Quando l’equilibrio tra i sensi è perfetto chiunque può iniziare il suo percorso di purificazione. L’attimo della prima scoperta è esaltante, perché la gioia fisica che si prova è tale da innescare una catena di reazioni spasmodiche assimilabili a quelle di un folle. E’ tutta questione di saper accoglierle, di lasciarle sfogare, di non pretendere di controllare secondo i criteri superegotici del quotidiano qualcosa che non gli appartiene. Le scariche si esauriranno spontaneamente, lasciando uno stato di benessere diffuso e una sorta di commozione. A questo punto diventerà pressoché automatico fare altre scoperte, in un crescendo sempre più febbrile, di modo che lo stato di esaltazione risulterà perenne e perderà la dinamica ondulatoria delle prime prove. Il flusso allora sarà costante, una sorta di musica eroica inesauribile, e ognuno sarà in grado di cogliere particolari che mai avrebbe immaginato esistessero. Improvvisamente camminare in mezzo alla natura assumerà tutto un altro significato e il godimento superficiale del turista non avrà più senso. Tutto apparirà diverso, gradazioni cromatiche, rumori, odori, ma soprattutto il tatto cambierà radicalmente. Subentrerà in ognuno un desiderio di congiungimento fisico con la materia e qualsiasi elemento del contesto naturale in cui uno si troverà avrà un’altra consistenza e darà un’altra risposta al contatto. E allora non sarà difficile sentire morbida la pietra o liscia la corteccia o addirittura carezzevole la punta acuminata di un rovo, perché qualcosa sarà avvenuto anche dentro il neofita e il suo corpo reagirà in modo nuovo di fronte a quella diversità fino al punto di annullarla e di annullarsi in un ricongiungimento di sostanza e di forma. Allora accarezzare e baciare delicatamente una pietra, eccitarsi sensualmente di fronte alle sue forme, sarà un atto d’amore universale che travalicherà i limiti angusti della specificità umana.
Ma questo percorso può anche essere tremendamente rischioso. Qualora infatti uno lo intraprenda e non riesca ad approdare alla condizione privilegiata dell’artista – ricercatore, rischia di non avere più quiete, di restare in mezzo ad un guado in cui non potrà avere la soddisfazione della conoscenza, ma neanche più quella dell’ignoranza. E allora la sua angoscia sarà immensa, e da quel momento tutto gli sembrerà banale ed insignificante e niente potrà più accontentarlo.
Ecco dunque l’importanza di prepararsi fisicamente e spiritualmente all’esperienza e di dismettere la convinzione frivola che chiunque possa fare l’artista – ricercatore, perché in fondo si tratta soltanto di raccogliere dei sassi. E’ questo, infatti, il modo più facile per perdersi e per ritrovarsi addosso metaforicamente tutte quelle pietre in una sorta di nemesi artistica della natura. Conviene invece abbandonare definitivamente l’assurda presunzione antropica di dominare soggettivamente il mondo ed accettare il fatto che esistono presenze oggettive molto più forti di noi che, qualora non vengano riconosciute, ci scaricano contro la loro maledizione. Che è poi il piacere stesso della conoscenza, che se non viene goduto fino in fondo determina in noi una schizofrenia demolitrice, un perenne stato di scissione che finisce per annientarci. Se qualcuno dunque sceglie di avvicinarsi all’arte per fede inizi da subito le sue pratiche ascetiche e cominci a portare sulla pelle le stimmate inconfondibili dell’artista – ricercatore. Quando il suo percorso di purificazione sarà compiuto, ad un certo punto, consapevolmente, si renderà conto che è venuto il momento di iniziare. Da quel momento in poi la sua strada sarà irta e difficile, ma anche l’unica che potrà dargli soddisfazione.
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AMBIENTE E ITINERARI
Le valli del Piota e del Gorzente sono due valli del versante piemontese dell’Appennino ligure, situate in provincia di Alessandria e precisamente nel territorio dei comuni di Silvano d’Orba, Tagliolo Monferrato, Lerma, Casaleggio Boiro, Mornese e Bosio. Morfologicamente hanno le caratteristiche proprie delle valli fluviali appenniniche, profonde, incassate e ingombre di sedimenti, e si aprono in un territorio in cui affiorano scisti, puddinghe e marne che rendono estremamente vario il “paesaggio” del loro percorso. Il Gorzente è affluente di destra del Piota nel quale confluisce in località Cirimilla. A sua volta il Piota, raggiunta l’estrema propaggine della Pianura Padana a Silvano d’Orba, si getta nell’Orba, altro copioso torrente appenninico che scende dal massiccio del Beigua.
A partire dal ponte sul Piota nei pressi di Lerma, il paesaggio in mezzo al quale scorrono i due torrenti è quello tipicamente appenninico, costituito prevalentemente da boschi di roverella, di frassino e di castagno, che s’inselvatichisce sempre di più man mano che si risale verso le sorgenti a causa dell’ormai decennale spopolamento della montagna. Soprattutto i versanti del Piota sono fittamente ricoperti di vegetazione, mentre quelli del Gorzente per lunghi tratti presentano una vegetazione per lo più cespugliosa.
Per raggiungere le due valli bisogna percorrere la strada provinciale n. 169 Ovada – Borgo Fornari, raggiungibile per chi proviene da Genova, da Milano e da Torino attraverso i caselli autostradali di Ovada, per chi viaggia sulla A26, e di Serravalle Scrivia, per chi viaggia sulla A7. Per entrambi il punto di riferimento è il ponte sul Piota ai piedi di Lerma, nei pressi del quale c’è la deviazione per la località Cirimilla. Da lì un chilometro di strada asfaltata conduce fino al ponte di Cirimilla, all’altezza del quale avviene la confluenza dei due torrenti. A questo punto è possibile posteggiare l’auto nel parcheggio della sovrastante area attrezzata e quindi scendere nel greto per iniziare uno dei percorsi.
Dal momento che la risalita dell’intero corso dei due torrenti richiede dalle 10 alle 15 ore di cammino (per cammino qui s’intende una risalita in atteggiamento da ricercatore, non una semplice marcia escursionistica) ho suddiviso gli itinerari in 3 tappe, ciascuna affrontabile da parte di un camminatore medio nell’arco di una mezza giornata.
Per quel che riguarda il Piota, la prima tappa va dalla confluenza con il Gorzente, all’altezza del ponte di Cirimilla, al guado di Fanàn (raggiungibile anche percorrendo la strada sterrata Cirimilla – Capanne di Marcarolo). La seconda dal guado di Fanàn alla cascina Fuìa (raggiungibile anche con la strada sterrata delle Rocche Nere, deviazione della suddetta strada Cirimilla – Capanne di Marcarolo, nella quale, a causa di un versante endemico di frana, persiste il divieto di circolazione). La terza dalla cascina Fuìa alle sorgenti del Piota, situate a Capanne di Marcarolo (raggiungibili con la strada sterrata Cirimilla – Capanne di Marcarolo oppure con la strada provinciale n. 165, che si apre a monte della Ovada – Borgo Fornari a metà strada tra i paesi di Mornese e di Bosio).
Per quel che riguarda il Gorzente, invece, la prima tappa va dal ponte di Cirimilla alla diga del lago della Lavagnina, bacino artificiale per la produzione di energia elettrica in concessione alla società De Ferrari – Galliera di Genova (raggiungibile con strada comunale asfaltata – sterrata da Casaleggio Boiro). La seconda dalla diga del lago della Lavagnina (per un tratto lungo la bellissima strada che costeggia il versante destro del lago) fino al guado della strada provinciale n. 165, la stessa che raggiunge Capanne di Marcarolo dipartendosi dalla Ovada – Borgo Fornari. La terza, infine, dal guado al lago Bruno, il principale dei laghi delle Lavezze, tre bacini artificiali in concessione alla suddetta società De Ferrari – Galliera per la produzione di energia elettrica e di acqua potabile (c’è anche un sentiero, periodicamente “segnato” dalla F.I.E., che corre lungo il torrente, di facile, ma suggestiva percorribilità da parte di chiunque). Quest’ultima tappa, per la particolarità del suo percorso, non sarà sviluppata nel presente testo, ma sarà oggetto di un’apposita monografia.
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INDICE
29 ………………………….. 19. IL CERBERO DEL FIUMELATTE
30 ………………………….. 21. L’ALBERA DELLA MEDUSA
34 ………………………….. 25. SECUNDU LAGU DU VURPIN
………………………….. TRATTO PONTE DI CIRIMILLA – LAVAGNINA
46 ………………………….. 9. DANNAZIONE
………………………….. TRATTO LAVAGNINA – GUADO DEL GORZENTE
60 ………………………….. 22. COLONNE DI PAROLE
62 ………………………….. 24. MONOLITO
66 ………………………….. 28. I TETRARCHI
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19.
IL CERBERO DEL FIUMELATTE
Località Fuìa
Rocce serpentinitiche con scistosità varia. Il masso incastonato nella cavità, emergente in modo parziale dall’acqua della pozza, ha le seguenti dimensioni: m. 3 x 1,30 x 1,80 di h. Colore: grigio – azzurro (scurito dall’acqua), con striature bianche.

Mormora
la spuma bianca
sulla pietra,
racconta
una storia cristallina.
Il lago s’accende di riflessi
e l’acqua pare chiara e senza fondo.
C’è un Cerbero di pietra
dentro il tempio,
un mostro
dalle fauci poderose.
Nessuno
violerà il segreto
di un cuore
che batte millenario.
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Tratto Fuìa – Sorgenti
21.
L’ ALBERA DELLA MEDUSA
Ceppa d’albera di fiume, a quattro polloni, sradicata completamente dal sito originario e collocata da una piena su un cumulo di massi di serpentinite in posizione pressoché identica a quella primitiva. Dimensioni: m. 3 x 2,50 x 1,20 di h.

Radice crinita
di un malessere,
groviglio arido
della mia sete.
Affratellati o affastellati
s’affacciano i ricordi.
Spezzoni di vita
ormai perduta
che chiedono
un’altra possibilità.
È inutile
il rigoglio di rizomi
se manca il terreno per succhiare
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25.
SECUNDU LAGU DU VURPIN
Località Leviatta
Lago formatosi per occlusione alluvionale dovuta essenzialmente ad uno sbarramento di pietre e di ghiaie che ne impedisce l’emissione diretta di acqua; tuttavia, filtrata da questo sbarramento, l’acqua sgorga copiosa nel lago sottostante che risulta così di straordinaria limpidezza. A destra nella foto si può ammirare un gabbro eologitico formato a partire da rocce Mg – gabbriche con metamorfismo da alta temperatura e da alta pressione, mentre a sinistra una roccia serpentinoscistica. Dimensioni del lago: m. 10 x 9; profondità massima m. 2 circa.

La coppa del mio dolore
è racchiusa
nella storia millenaria
della mia gente.
Scolpita con aghi inossidabili
aggiunge
giorno dopo giorno
nuova linfa agli affanni.
Solo un filtro
tenace e gigantesco
potrà distillare l’amarezza che mi fonde il cuore
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TRATTO PONTE DI CIRIMILLA – DIGA DELLA LAVAGNINA
Il ponte di Cirimilla, come già sul Piota quello dei Possidenti, segna l’inizio dell’itinerario del Gorzente. In questo punto il torrente, prima di congiungersi con il Piota, corre per un lungo tratto rettilineo e la valle comincia ad allargarsi. È la zona dei Piani, terrazzi alluvionali sui quali è possibile ammirare i cumuli di ciottoli dovuti al lavaggio delle sabbie aurifere in epoca romana.
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9.
DANNAZIONE
Località Laghi delle Tine
Rocce prasinitiche associate a calcescisti. In questo punto la valle del Gorzente si restringe notevolmente incassandosi in una sorta di orrido di suggestiva bellezza. Le pareti rocciose dei due versanti raggiungono in alcuni punti i 20 metri di altezza. Colore: le rocce più basse, interessate periodicamente dal deflusso dell’acqua, sono grigio azzurre, talora patinate di calcare; quelle più alte presentano una forte ossidazione e tendono per lo più al grigio – marrone.

Una pioggia di angeli,
un rovescio di popoli.
Scolpita nel granito
riaffiora la caduta.
Abisso senza fondo
di acque tetre e glaciali,
sei bocca dell’Inferno
ammaliatrice.
Sprofonda anche la voce
dentro il gorgo,
ribolle come un’eco nelle vene.
Un alito di vento
increspa il cuore
limpido dell’innocenza e scaccia finalmente la paura
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TRATTO LAVAGNINA – GUADO DEL GORZENTE
La diga del lago nuovo della Lavagnina è uno sbarramento costruito negli anni ’20 del secolo scorso dalla società De Ferrari – Galliera di Genova per la produzione di energia idroelettrica. Con delle condotte forzate visibili nella scarpata sottostante la strada di accesso alla diga l’acqua viene convogliata alla centrale della Cravaria dove sono collocate le turbine. Un’altra fonte di approvigionamento è rappresentata dalla condotta che convoglia, attraverso una galleria scavata nel ventre del Mond’Ovile, anche buona parte delle acque del Piota.
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22.
COLONNE DI PAROLE
Località Brignulé
Cippi lherzolitici, molto fratturati, posti a strapiombo sul torrente ad un’altezza di circa 20 metri dal livello dell’acqua. Dimensioni del cippo superiore: m. 1 x 0,60 x 2,10 di h. ; colore: grigio – marrone, con chiazze bianche localizzate di lichene.

Lungo il sentiero della valle
s’incontrano
colonne di parole.
Scolpite come pietre
risuonano dei gemiti del tempo
tremando fino alle radici.
È inutile sfuggirle
con scaltre deviazioni lessicali
che scaccino gli altrui significati.
Abbandonati sul selciato
conviene recitare insieme
la parte che un dio
ci ha destinato.
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24.
MONOLITO
Località Brignulé
Lherzolite monolitico, ritto su una piattaforma dello stesso materiale, compatto e privo di fratture. Dimensioni: m. 1,50 x 0,70 x 2,30 di h. ; colore: grigio – terra di Siena pressoché uniforme, dovuto a fenomeni ossidativi.

S’erge
sul versante della vita,
una pietra sola di speranza.
È la radice
di ogni nostro sogno,
è l’obelisco
della storia antica.
Precipitata dal destino
vigila sull’acqua e sulla sponda
come una lanterna in fondo al molo.
Solo l’anima
può coglierne la luce e godere della sua benedizione.
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28.
I TETRARCHI
Località versante orientale di Tugello
Lherzolite monolitico, ritto su una piattaforma dello stesso materiale, compatto e privo di fratture. Dimensioni: m. 1,50 x 0,70 x 2,30 di h. ; colore: grigio – terra di Siena pressoché uniforme, dovuto a fenomeni ossidativi.

Oh, teste coronate di regnanti !
Oh, sagome ardite di guerrieri !
Nessuna di voi sopravviverà
al lento degradarsi del potere
che infonde la materia.
Neanche la roccia di mille battaglie
conosce il senso eterno della vita.
Un giorno cadrete come martiri
sulla parete oscura dell’oblio.