Documentari e film

2017 – Scrittura dei testi della sceneggiatura del documentario “I miei lupi” di Massimo Campora

2014 – Soggetto e ricerca sul campo per il cortometraggio documentario “Mani. Un racconto sul cibo” di Michele Trentini . Vedi anche qui e qui.

2010 – Regia nel cortometraggio documentario “Il prete della Rocchetta

2008 – “Un paese ci vuole” di Elisa Ravarino e Gianni Repetto

2007 – Regia nel cortometraggio documentario “Alla Benedicta c’era la luna

2006 – Regia nel cortometraggio documentario “Cinema di paese

2005 – Aiuto regia nel cortometraggio fiction  “Gaito delle miniere” di Elisa Ravarino

2005 – Regia nel cortometraggio docufilm Le pietre della Benedicta

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Gaito delle miniere

di Elisa Ravarino e Gianni Repetto

Il cortometraggio, girato interamente all’interno del Parco Naturale delle Capanne di Marcarolo (AL), si presenta, inoltre, come esperimento di valorizzazione di un territorio, di una cultura e di una comunità locale, attraverso una forma meno convenzionale, quale può essere un film a soggetto. Oltre alla scelta di alcuni degli ambienti fra i più suggestivi della zona, nella messa in scena si è cercato di coinvolgere la comunità locale che ha risposto con grande entusiasmo: tutti gli interpreti vivono nel territorio del Parco. SINOSSI : Francesco, ormai adulto, racconta la storia di Gaito, un ragazzo scomparso misteriosamente in una miniera d’oro a Capanne di Marcarolo, intorno alla metà del Novecento, affidandosi alle suggestioni e alle immagini evocate dai luoghi, teatro di una vicenda che, da bambino, lo aveva coinvolto in prima persona. Il dramma di Checchu, il padre di Gaito, appeso alla vana speranza che il figlio possa essere ancora vivo, e il coinvolgimento di suo padre, conducono Francesco ad una lenta, ma non definitiva, presa di coscienza sui fatti, che continuano a scuoterlo ancora dopo tanti anni, tanto da riportarlo a dialogare con la miniera. REGIA: Elisa Ravarino SOGGETTO E SCENEGGIATURA: Elisa Ravarino, Gianni Repetto TRATTO DA: Gianni Repetto, Il vecchio della Fuìa, Ovada 2004. FOTOGRAFIA: Mauro Ravarino SUONO IN PRESA DIRETTA E POSTPRODUZIONE AUDIO: Gigi Miniotti MONTAGGIO: Elisa Ravarino AIUTO REGIA: Gianni Repetto TRATTAMENTO IMMAGINI: Franco Mastrangelo INTERPRETI PRINCIPALI: Lorenzo Montaldo, Paolo Repetto, Giuliano Montaldo, Matteo Morcio PRODUZIONE: Parco naturale delle Capanne di Marcarolo DURATA: 23’40” ANNO DI PRODUZIONE: 2005

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“Le pietre della Benedicta”

Gianni Repetto, Le pietre della Benedicta. Parole e immagini per non dimenticare, DVD + libro, Le Mani, Recco 2005

“Le pietre della Benedicta” è un percorso audiovisivo nella Storia e nella Memoria che ha come  protagoniste le pietre delle Valli del Piota e del Gorzente. Pietre che raccontano, dal loro punto di vista “altro”, insieme fisico e metafisico, la Storia geologica e umana, troppo umana, della nostra montagna appenninica, fatta di boschi scoscesi e di tenace lavoro, di acque limpide e di torbidi eventi, di arte naturale e di intuizioni filosofiche e poetiche. Ecco che, improvvisamente, un evento simbolo della nostra Storia più recente e più dolorosa, l’eccidio dei partigiani della Benedicta nei giorni della Pasqua del 1944, ci appare in tutta la sua tragicità non solo umana, ma cosmica, come negazione di un percorso armonico uomo-ambiente che si compie dialetticamente da millenni secondo un disegno di necessità biocentrica; un atto di hybris, che ne echeggia altrettanti vicini e lontani, di tale violenza da “lasciare di pietra” le pietre stesse che hanno, però, la sensibilità, ritenuta presuntuosamente solo umana, di commuoversi e di aiutare coraggiosamente i ribelli. Un monito etico-artistico per tutti quegli uomini che, boriosamente antropocentrici, si scannano spesso e volentieri per il potere, mettendo a rischio anche gli “altri” abitanti della Terra e i loro delicati ecosistemi, inconsapevoli che “neanche la roccia di mille battaglie conosce il senso eterno della vita”. Con il rischio che, quando cadrà “l’ultimo diaframma”, si accorgano, ormai troppo tardi, “che è stato un sospiro, soltanto un sospiro”. Per fortuna basta che un ragazzo con una chitarra, seduto sui gradini del sacrario, colga il senso di quella tragedia e trovi la forza per cantarla, perché quei morti nelle fosse si riscuotano e comprendano che il loro sacrificio non è stato vano e “anche i ragazzi di oggi non li vogliono dimenticare”. Il Dvd è stato realizzato in collaborazione con il Comitato Regionale per l’affermazione dei valori della Resistenza e dei principi della Costituzione Repubblicana, nell’ambito delle iniziative previste dalla convenzione tra il Consiglio Regionale del Piemonte e l’Associazione Memoria della Benedicta.

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“Cinema di paese”

di Elisa Ravarino e Gianni Repetto

Il documentario racconta, tramite la testimonianza dei protagonisti, la storia delle sale cinematografiche nate nel secondo dopoguerra in alcuni paesi del territorio compreso tra le valli Piota e Scrivia. La cornice del lavoro è rappresentata dall’esperienza di Aldo Bergaglio, di Gavi, che continua tutt’oggi a gestire un cinema all’aperto a Monterosso e una sala cinematografica a Moneglia. Lui fu lo storico gestore del cinema Il Forte di Gavi negli anni Settanta/Ottanta, per poi passare al Lara di Serravalle, all’Iris di Novi e trasferirsi infine in Liguria, prima a Nervi e ora a Moneglia. Il suo racconto immanente racchiude le esperienze ormai da tempo concluse dei due cinema di Lerma, il Cineteatro G.i.a.c. – in cui fu operatore negli anni  Sessanta Paolo Repetto, mio fratello – e il Cinema della Filarmonica; servito dalla San Paolo Film il primo, da altri distributori più disinvolti il secondo che proiettava anche film proibiti ai minori con diatribe continue tra il parroco e i dirigenti della Filarmonica. E poi quella del cinema parrocchiale di Mornese, in cui furono operatori “Locci” e “Balan”, e di quello laico di Bosio, nei locali dell’odierno mobilificio Gastaldo. Ma si parla anche del cinema parrocchiale che c’era a Parodi Ligure, lo racconta un testimone prestigioso, il regista Giuliano Montaldo, e anche di quello di Gavi, gestito da ragazzi che frequentavano il circolo del prete (tra cui Roberto Della Casa), nonché del già citato Il Forte, meraviglia per l’epoca di organizzazione e di tecnica (la macchina da proiezione era piazzata su una piattaforma girevole che consentiva di proiettare il film all’aperto e al chiuso; se dunque per caso pioveva si poteva facilmente correre ai ripari). E poi di quelli laici di Voltaggio, in uno splendido palazzo del centro storico costruito su pilastri di pietra, e di Silvano d’Orba, dove il cinema, racconta Irma Pestarino, moglie dell’operatore storico, fu veicolo di emancipazione. Chiudono la carrellata di cinematografi il cinema parrocchiale di Arquata, il Roma – ancora in funzione quando girammo il documentario, ora anch’esso chiuso – e quello laico della Soms, in entrambi i quali è stato operatore per anni Paolo Bergaglio, che racconta, mostrando locandine e manifesti originali, la programmazione dei film nelle due sale e fa, con competenza e passione, una vera e propria lezione sulle macchine da proiezione prima del digitale.

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“Alla Benedicta c’era la luna”

di Elisa Ravarino e Gianni Repetto

Il video sviluppa sostanzialmente due nuclei tematici: in primo luogo, mediante la testimonianza di due partigiani, il diverso punto di vista  di garibaldini e autonomi sull’evento Benedicta, da cui traspare anche una diversità di approccio alla Resistenza in generale; in secondo luogo, ma non per questo meno importante (anzi, alla fine assurge a una sorta di giudizio oggettivo complessivo), la voce  delle donne di Capanne, che vissero sia come spettatrici (Manin, Piera, Lina e Giulla) che come protagoniste (Anna) il tragico evento. Il tutto nella cornice reale e simbolica della settimana santa con il sacrificio di Cristo in croce che si sovrappone a quello dei martiri della Benedicta. Come a dire che nelle grandi tragedie dell’uomo si rinnova sempre il sacrificio della croce a testimonianza di un dio che si è fatto uomo non solo per riscattare, ma anche per condividere alla pari la sofferenza dell’umanità.

I due partigiani protagonisti sono Mansueto Mazzarello, “Camèia”, partigiano garibaldino dei Mazzarelli di Mornese, e Mario Merlo, “Brontolo”, partigiano autonomo di Bosio, entrambi della classe 1923.

Mansueto ha operato, prima del rastrellamento, nella zona di Capanne, nella III Brigata Liguria, Mario, invece, era al Roverno nella Brigata Autonoma del capitano Odino. Entrambi sono scampati all’eccidio, il primo sfondando verso Olbicella, il secondo ripiegando nottetempo, dopo essere stato alla Tana del lupo, verso Bosio con alcuni compagni.

Mansueto ha poi continuato la sua attività partigiana a Olbicella con il comandante “Doria” e al Palazzo (Cascina della valle del Piota) con Boro e con don Berto fino alla Liberazione.

Mario ha contribuito a ricostruire assieme al fratello Giuseppe e a Calisto Arecco la Brigata Autonoma “Alessandria” comandata fino alla Liberazione proprio da Giuseppe Merlo.

Alcuni cenni biografici sulle donne del “coro”.

“Giulla” Repetto, classe 1924, vedova, viveva nella cascina Locanda a Capanne Superiori. Originaria della cascina Cian di Sèghè (Spinola), nella valle del rian dei Mulini, era la madre di Giuliano Montaldo che, assieme alla moglie Sandra, produce a Capannette la Formaggetta tipica delle Capanne. All’epoca dei fatti “Giulla” non era ancora sposata e abitava ancora a Cian di Sèghè

“Manin” Cereseto, classe 1927, era la madre dell’attuale titolare della Trattoria degli Olmi a Capanne di Marcarolo, figlia di “Gaetanin”, mitico gestore della trattoria stessa. Il padre fu costretto ad aiutare i nazifascisti a portare a Masone il bottino della razzia che essi fecero nelle cascine di Marcarolo. Lei ricordava nitidamente quei terribili momenti.

Lina Repetto, classe 1927, vedova, vive alla cascina Rossa, che si trova limitrofa alla provinciale 165 nel tratto che va dalla chiesa di Capanne alla cascina Foi. Originaria della Ca’ Növa, cascina in prossimità della chiesa parrocchiale, è la sorella di Giovanni, che era sacrestano della chiesa stessa.

Piera Repetto, classe 1934, è la sorella di Giulla. Vedova, viveva quando girammo il documentario alla cascina Pióta, nella valle del torrente omonimo, con i due figli. Ora vive a Campo Ligure.

Anna Ponte, classe 1927, era originaria della cascina Puraza nella valle del rio Badana (Capanne Superiori). Vedova, ha vissuto fino agli ultimi giorni in comune di Campomorone (Ge). Accusata di aver collaborato con i partigiani della Menta, cascina vicina alla Puraza, venne arrestata e portata a Genova assieme a due suoi fratelli durante il rastrellamento. Ci rimase 59 giorni tra la Casa dello Studente e il carcere di Marassi, finché venne rilasciata. Un altro suo fratello, reduce dalla Russia e a casa in convalescenza per una ferita, venne ucciso dai nazifascisti sulla Costa Lavezzara. Nel video compaiono anche don Pino, che era allora il parroco di Capanne, e Giovanni della Ca’ Növa che allestiscono il sepolcro per la settimana santa.

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“Un paese ci vuole”

di Elisa Ravarino e Gianni Repetto

Il documentario racconta in dodici minuti il paese di Lerma attraverso una carrellata di riprese che, accompagnate da alcuni temi musicali in armonia con lo sguardo della telecamera, propongono il paese di Lerma in tutti i suoi aspetti, dalle emergenze storiche e quelle ambientali, dalle produzioni tipiche, in particolare uva e vino Dolcetto, all’offerta di ospitalità e di cucina tradizionale. Tutto senza una parola, come se ne risuonassero già tante in quelle immagini della Memoria. Un “volo” su un paese che “ci vuole”, ma che rischia di scomparire nel suo tessuto umano originale e nella vocazione agricola che ancora alla fine degli anni Sessanta ne “ricamava” la terra come un giardino.

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Il prete della Rocchetta

di Gianni Repetto

Don Luigi Mazzarello fu cappellano alla Madonna della Rocchetta, santuario in comune di Lerma, dal 1939 al 1959. Vi arrivò dopo un passato tempestoso, tra le prime esperienze come viceparroco in provincia di Asti e il successivo incarico di cappellano dell’emigrazione che lo portò a viaggiare sui transatlantici diretti alle Americhe e a insegnare presso le scuole italiane di Tunisi e di Ginevra.

Il documentario racconta la sua vita attraverso la rievocazione del nipote Gino Mazzarello che trascorse parte della sua infanzia, durante la seconda guerra mondiale, presso lo zio al Santuario della Rocchetta. Egli, dopo aver raccontato brevemente dal ponte dei Mille del porto di Genova dei viaggi transcontinentali dello zio, ci porta alla Rocchetta rievocando ciò che ricordava del suo soggiorno al Santuario durante il conflitto, in particolare la presenza di due coppie di coniugi ebrei di Genova, i Levi e i Soria. Ed è questa presenza che diventa il fulcro del documentario, in quanto Gino racconta di come in seguito a due perquisizioni, probabilmente su delazione, da parte dei repubblichini e dei tedeschi egli abbia accompagnato lo zio nella cappella funeraria degli Spinola, signori di Lerma, per rinchiudere nei sepolcri ancora vuoti del sacrario le due coppie di ebrei.

DON LUIGI DURANTE L’ULTIMO PERIODO AL SANTUARIO DELLA ROCCHETTA.

Da questo ricordo nasce in lui l’esigenza di ricostruire la verità storica dell’evento contattando a Genova la nipote dei coniugi Levi, che conferma i fatti. A questo punto Gino coinvolge nella vicenda il rabbino capo della comunità ebraica di Genova Giuseppe Momigliano al fine di ottenere per lo zio un riconoscimento pubblico per quanto fece per salvare le due coppie di ebrei. Il rabbino istruisce un procedimento ufficiale di indagine, si reca alla Rocchetta, intervista alcuni testimoni oculari dei fatti, e infine, convinto che si tratti di una buona causa, inoltra la sua pratica allo yad vashem che il 12 aprile del 2012 riconosce don Mazzarello come “giusto tra le nazioni”.

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“Mani. Un racconto sul cibo”

di Michele Trentini – Soggetto e ricerca sul campo: Gianni Repetto

Documentario prodotto dal Parco delle Capanne di Marcarolo al fine di fissare una tradizione culinaria locale che è patrimonio delle donne, non come avvilente condanna ai fornelli, ma come esaltazione delle loro doti di gusto e di creatività.

Protagoniste sono alcune donne di Lerma, Voltaggio, Tagliolo, San Cristoforo, Bosio, Capanne di Marcarolo, Acque Striate e Ca’ de Gualchi, che custodiscono ricette locali d’influenza ligure e piemontese. Si vede spianare la sfoglia con il mattarello o con l’Imperia, prepararla per i ravioli e ripiegarla poi sul tradizionale ripieno di borraggine, scarola, carne, uova e formaggio, cucire la cima e riempirla di lattuga, di cervello, di laccetti, di filone, di uova, di pinoli, di piselli, di formaggio e di maggiorana, fare gli gnocchi con un antico e sapiente gesto della mano, preparare i ripieni scavando chirurgicamente le verdure e colmandole di impasto misto di carne e verdura, fare il pesto nel mortaio, la salsa verde, lo stoccafisso accomodato, la torta di riso e il “focaccino” sulla stufa.   Il film, frutto di alcune decine di ore di documentazione sul campo, osserva da vicino i gesti delle mani e la maestria di queste donne mentre trasformano i prodotti della terra in cibo. Mani che possiedono ancora saperi millenari.

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“I miei lupi”

di Massimo Campora – Scrittura dei testi della sceneggiatura: Gianni Repetto

Documentario realizzato con immagini e filmati raccolti dal fotografo naturalista Gabriele Cristiani che per 95 giorni consecutivi è salito ogni mattina, con qualsiasi condizione meteorologica, all’interno delle Aree Protette delle Alpi Marittime, sui monti vicino a Upega (Cuneo), per documentare in un video, per la prima volta in assoluto, i primi mesi di vita di sei cuccioli di lupo. Immagini straordinarie grazie soprattutto ad un lavoro di avvicinamento graduale che ha consentito al naturalista di farsi “accettare” dal branco, riuscendo così a fotografare e riprendere i primi mesi dei cuccioli nel loro “rendez-vous”, il luogo appartato dove i cuccioli di lupo crescono, e a documentare la crescita dei piccoli in un’opera unica nel suo genere.