Mi presento

Questo sito è il frutto di trent’anni di lavoro sulla mia radice contadina con il fine di rivalutare la Memoria del mondo rurale come componente necessaria e “attiva” di qualsiasi nostro futuro.

Una ricerca basata sulla convinzione che la comunità rurale sia il cuore millenario della nostra civiltà e che, soprattutto in questa fine ingloriosa da impero romano che stiamo vivendo, si debba cercare in essa la forza e l’esempio per andare avanti. Anzi, dobbiamo fare ancora di più: ridefinire il rapporto di priorità tra città e campagna e trasferire l’approccio conservativo della ruralità ai brandelli impazziti della società postindustriale per renderla più umana e sensata.

Sembra un paradosso, ma l’unico luogo in cui oggi l’umanità e il buon senso hanno ancora spazio è proprio la campagna, da sempre indicata dal modernismo industrialista come esempio di oscurantismo e di barbarie. Ed è questo che manca oggi alla politica, all’economia e alla società: ritornare all’uomo e ai suoi bisogni fondamentali, recuperando il senso della vita sulla base di quel “dono” primordiale che ci volle insieme, causalmente o casualmente non importa.



Occorre una trasformazione antropologica, l’ennesima nella Storia, ma stavolta di segno opposto alle precedenti, che ci riporti indietro, sì, indietro, non per nostalgismo conservatore, ma per riannodare il filo che abbiamo spezzato nel nostro delirio di onnipotenza.

E il filo è lì, nella cultura di campagna, in quei principi sacri e imprescindibili che mettono al centro l’uomo e il suo rispetto, come l’amicizia, la parola data, l’ospitalità, il senso di responsabilità, l’equilibrio. Bisogna scardinare l’idea contemporanea di uomo che si chiude in se stesso, solo contro tutti, che vede gli altri come potenziali nemici, che pensa soprattutto a differenziarsi materialmente anziché spiritualmente inseguendo il proprio successo individuale, soldi e gloria come panacea a tutti i mali.

Oggi quest’uomo, di fronte alla crisi della sua più importante affermazione materiale della Storia, ha l’occasione per ricredersi, per capire che quella “fetta” di dono che abbiamo ricevuto in più sul piano fisico o intellettuale non è un patrimonio nostro personale, ma da mettere liberamente a disposizione del “bene comune”.

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